Oltre il populismo. Alla ricerca dell’alternativa perduta
Istituzioni ed economia
Salvini fa poco più che baciare i prosciutti e i sondaggi dicono che la Lega resta saldamente il primo partito. Com’é possibile? Molti sostengono, con fare snobisticamente rassegnato, che siamo un popolo di ignoranti. Per quanto ci sia del vero, non é questa la ragione del successo di Salvini. Il consenso della Lega ha ragioni politiche: in Italia, a oggi, non esiste una reale alternativa al populismo, questa è la cruda realtà. Provo ad argomentare questo mio convincimento, raccontando la mia esperienza personale sul tema, sperando che la mia “storia” (che di per sé non interessa ad alcuno) rappresenti in qualche modo il sentimento di chi si sente “alla ricerca dell’alternativa perduta”.
Parto da lontano. Fui in qualche modo testimone diretto della nascita del grillismo. Negli anni immediatamente precedenti alla sua nascita, infatti, collaborai amichevolmente con Beppe Grillo alla progettazione di un paio di suoi spettacoli. Assistetti in prima persona alla sua metamorfosi da tribuno del palco a tribuno del popolo, fino alla nascita, nel 2009, del Movimento 5 Stelle.
Fondò il suo partito con Gianroberto Casaleggio che ebbi occasione di conoscere nei primi anni 2000: un manager potentemente innovativo. Portammo avanti un importante progetto di gestione delle risorse umane nella web technology. Si appassionò al mio approccio umanistico, tanto che volle scrivere la prefazione del libro La leadership di Peter Pan che pubblicai con Sperling & Kupfer proprio in quegli anni.
Fu chiaro fin da subito come il Movimento 5 Stelle si fondasse su un linguaggio sguaiatamente aggressivo e su una visione complottista del mondo, ancorché in parte edulcorata da quella visionaria di Casaleggio. Eppure un’intuizione c’era: per leggere il mondo nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione, occorreva “indossare un nuovo paio di occhiali”, occorreva fare ricorso a nuovi paradigmi e accettare il superamento dei vecchi, occorreva, per quanto attiene l’elaborazione politica, andare oltre lo schema destra/sinistra, cosa che il M5S fece, con successo, fin da subito.
Mi convinsi che, con la nascita del Movimento 5 Stelle, si sarebbe progressivamente determinato un nuovo bipolarismo, non più fondato su destra/sinistra e sarebbe divenuto quindi necessario lavorare per un’alternativa a questa forma neo-populista, un’alternativa che non fosse prigioniera dei vecchi steccati novecenteschi.
Mi parve che l’unico spiraglio di luce potesse provenire dalla Leopolda renziana, la cui prima edizione fu sostanzialmente contemporanea alla nascita del partito grillino. Iniziai a seguire le gesta del giovanissimo Renzi, sia pure molto scettico intorno alla possibilità che l’alternativa al neo-populismo potesse derivare da quella sinistra che, al contrario, lo aveva in gran parte generato.
Quando nel 2012 Matteo Renzi fu sconfitto da Bersani alle primarie, ebbi con lui un più che simpatico carteggio. Mi contattò, ringraziandomi, per la copia del mio libro Il coraggio di essere te stesso che Feltrinelli, l’editore, gli fece avere in occasione del lancio che avvenne proprio in quei giorni. Ne approfittai per sottoporre alla sua attenzione i miei ragionamenti intorno alla necessità di una narrazione totalmente nuova e i miei dubbi intorno alla possibilità che tale narrazione potesse derivare dal PD. Mi colpì (e appezzai) la convinzione con cui argomentò il contrario e cioè come, secondo il suo punto di vista, il PD fosse il generatore naturale della nuova narrazione. Dopo brevissima frequentazione del mondo piddino, mi convinsi più che mai della mia idea. Certamente Matteo non ricorda di quel breve carteggio, ma io apprezzai molto la disponibilità che dimostrò nei miei confronti, per lui, un emerito sconosciuto. Pur continuando a seguire con simpatia la battaglia contro i mulini a vento che Renzi portava avanti nel PD, restai per anni orfano di una sponda politica di riferimento: neppure la meteora politica di Mario Monti fornì un’adeguata risposta.
Verso la fine del 2017 conobbi Benedetto Della Vedova. Mi parlò dell’intento di far evolvere l’associazione politica che presiedeva, Forza Europa, in lista elettorale, coinvolgendo i Radicali di Emma Bonino. L’idea poggiava sul convincimento di diversi intellettuali intorno al nuovo paradigma che si affacciava: non più destra/sinistra, ma apertura/chiusura. Potrebbe essere la volta buona, pensai. Così nacque Più Europa che nelle politiche del 2018, sfiorò il superamento dello sbarramento del 3%.
Nei giorni successivi all’esito elettorale, partecipai alla Direzione Nazionale di Forza Europa, per l’occasione aperta alla partecipazione di Emma Bonino. Sottolineai come, un po’ inevitabilmente, la proposta di Più Europa fosse stata percepita come appiattita sulla potente immagine pubblica di Emma Bonino e come tale appiattimento abilitasse a un agevole raggiungimento del 2,7% (il risultato che ottenne Più Europa) e al contempo ne impedisse il superamento. Argomentai che, conseguentemente con ciò, un’eventuale evoluzione della lista elettorale in partito strutturato, avrebbe dovuto prevedere lo scioglimento nella nuova formazione da parte dei partitini fondatori, pena un’alta conflittualità interna, una leadership debole o divisiva, un’identità sfumata o contraddittoria. Il mio argomento non ebbe successo e la stessa Emma Bonino, replicando al mio intervento, escluse questa possibilità.
Così fui l’unico a esprimere voto contrario alla nascita di un partito con forma federale e mi allontanai progressivamente da quell’esperienza che a tutt’oggi, mi sembra, fatichi a decollare. Così mi ritrovai nuovamente orfano, ma ecco un nuovo spiraglio di luce. A dire la verità, mi parve ben più di uno spiraglio: finalmente Matteo Renzi sceglie di portare avanti il suo progetto politico fuori dal PD. Nasce Italia Viva. Aderisco senza tentennamenti. Sarà davvero la volta buona? Sarà davvero “tutta un’altra storia”?
Renzi, si sa, è un maestro di tattica, ma per lanciare un nuovo soggetto politico, la tattica non basta e non basta neanche un leader, occorre un’identità forte, non scontata, inequivocabile. Questi primi mesi di vita del nuovo partito renziano mettono invece in luce un dilemma identitario: Italia Viva é davvero “tutta un’altra storia” o, come ebbe a dire Roberto Giachetti, è “ il PD che ce l’ha fatta”? Si colloca oltre lo schema destra/sinistra oppure considera il centrosinistra come suo “campo naturale”? Considera come principale avversario politico il neo-populismo (leghista e grillino) o “le destre”?
Se talune scelte sembrano ancorché timidamente indicare “tutta un’altra storia”, alludo ad esempio alle vicende della concessione di Autostrade e della abolizione della prescrizione, altre vanno a mio giudizio nella direzione contraria. In particolare trovo che rappresenti un’involontaria confessione di continuità col PD l’addotta ragione ufficiale del voto favorevole all’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, ragione reiterata dai principali esponenti di Italia Viva; cito testualmente dall’account Twitter di Italia Viva: “Se il caso Gregoretti è identico a quello della Diciotti, allora voteremo come sulla Diciotti”.
Se davvero si vuole testimoniare “tutta un’altra storia”, i parlamentari di Italia Viva non dovrebbero ragionare e muoversi come ex-PD, ma come se fossero stati eletti ex-novo dall’elettorato a cui Italia Viva si rivolge che non dovrebbe essere tout court quello del PD. Cosa vuol dire “voteremo come sulla Diciotti” se al tempo del caso Diciotti, Italia Viva ancora non esisteva? Non è una questione di lana caprina, è al contrario un’illuminante (e preoccupante) cartina torna sole.
Così come si è rivelato illusorio (velleitario?) pensare di cambiare il PD, è forse altrettanto difficile costruire tutta un’altra storia se i suoi artefici sono tutti ex PD. Il rischio di costruire “il PD dei giusti” è alto. Sarà difficilissimo sfuggire a questa tentazione, talora ho l’impressione che taluni sostenitori di Italia Viva ambiscano a una sorta di partito catto-comunista 4.0. Anche la scelta di partecipare alle elezioni regionali, da questo punto di vista, è rischiosa giacché “costringe” Italia Viva a confermare anche sul piano locale l’alleanza che sostiene il governo nazionale e comunque a competere come parte integrante del centrosinistra. Questa strada può portare a ritagliarsi un consenso (5%?) da far pesare al tavolo del centrosinistra e nulla più.
Il sistema democratico italiano ha bisogno di ben altre risposte. Risposte che potrebbero forse essere abilitate generando un’unità di intenti con Voce Libera, l’associazione politica fondata da Mara Carfagna, associazione che, in questo senso, va sostenuta. D’altronde, già nell’aprile del 2019 scrissi proprio per Strade un articolo nel quale caldeggiai qualcosa di simile. Nell’ultima piacevole chiacchierata che ebbi con Benedetto Della Vedova, prima di disimpegnarmi da Più Europa, gli dissi che l’Italia non ha bisogno della punta di diamante di un’alternativa che ancora non c’è, ma dell’embrione generativo di un’alternativa tutta da costruire. Valeva per Più Europa, vale per Italia Viva.