Il voto sulle regionali non dimostra la natura democratica del sistema Rousseau, ma la deriva anarchica e autodistruttiva del M5S, con un regime “interno” in rotta, per non essersi saputo fare regime “esterno” ed essere stato soppiantato nel cuore del deep anti-state italiano dalla Lega salviniana e da un populismo ideologicamente più risolto e meno totale, che non pretende di rappresentare l’intero della società, ma la sua parte più numerosa e malmostosa.

Il M5S ha affrontato l’avventura del Governo, a partire dal 2018, pensando che la testa del Casaleggio morto e del Casaleggio vivo si equivalessero e la macchina da consenso costruita dal primo – fondata sull’equivalenza dell’essere e dell’essere contro e sulla potenziale componibilità di tutti gli infiniti No della politica – potesse diventare una macchina da governo guidata dal secondo.

Alla prova dei fatti il M5S ha certamente pagato la mediocrità di molti suoi esponenti, che è anch’essa il prodotto di un processo di reclutamento e di regole di ingaggio concepite per un “movimento contro”, però ha pagato in primo luogo l’assenza di un sistema operativo capace di funzionare dentro e non solo fuori dalle stanze del potere. Mentre il populismo sovranista ha a suo modo un contenuto “positivo”, un’idea e un racconto delle cose da fare, della società da costruire e dell’ordine da restaurare, il M5S non ha convertito in qualcosa di altrettanto forte e nichilistico il suo messaggio ontologicamente vandalico.

Dopo aver vinto suggerendo l’idea che il Palazzo non andava occupato, ma sfasciato e il Parlamento trasformato in un circo di portaparola del Popolo, magicamente connessi alle sue volontà dagli algoritmi di Rousseau, non si può pensare di trionfare semplicemente riducendo di un terzo i parlamentari e sbocconcellando i vitalizi retributivi di alcune centinaia di ex deputati e senatori.

Salvini al suo popolo inebriato dall’odore del sangue, gliene ha offerto di fresco anche dalle stanze del Viminale: gli immigrati, gli stranieri in genere, anche nel senso delle istituzioni, dei prodotti, delle culture… Il “prima gli italiani” è populismo di governo. La trasformazione del "vaffanculo a tutti" nel doroteismo antipolitico dell’avvocato del popolo successore di se stesso non è neppure più populismo; è macchietta, parodia involontaria. E altrettanto indigesto al popolo dei meet-up, e ai polli della batteria digitale ammessi al voto su Rousseau, deve oggi apparire Di Maio, così alfaniano nel peregrinare tra i dicasteri di peso e nel fare il "signor no" a nome di truppe parlamentari sempre meno rappresentative del proprio elettorato.

Il M5S non si è istituzionalizzato, ma si è deradicalizzato e oggi sembra una lista civica nazionale di notabili decaduti, senza un’idea di futuro, né proprio, né dell’Italia. Il voto su Rousseau non è stata una vittoria dell’opposizione interna alla leadership di Di Maio, ma una convulsione del “cervello collettivo” del Movimento. Non è stata democrazia, ma epilessia. Il sistema operativo è andato in crash.

@carmelopalma