pomicino andreotti grande

Paolo Cirino Pomicino ha sempre rivendicato l’emissione abnorme di titoli del debito pubblico dell’inizio degli anni ‘80 e la conseguente esplosione della spesa per interessi, con la necessità di contrastare l’emergenza del terrorismo e dell’estremismo politico e sindacale. “Una questione di priorità”, ha detto in numerose interviste, anche recenti: le famiglie italiane si sono arricchite con gli interessi sui titoli di stato, la pressione fiscale è rimasta (in un primo momento) a livelli contenuti, la spesa pubblica ha continuato ad elargire molto e a produrre poco, e la tensione sociale si è allentata. Missione compiuta.

La “questione di priorità” è la stessa che viene evocata oggi per giustificare sia l’incredibile operazione trasformistica che ha portato alla nascita del Conte-bis, che l’indulgenza con la quale si guarda a politiche economiche che partono, ancora una volta, dall’espansione del debito e che rinunciano a qualsiasi proposito riformista. Anche Renzi paraculeggiava sul deficit, certo. Ma almeno, vivaddio, nel frattempo faceva il jobs act, provava a riformare la scuola e la costituzione, e si trattava di un sedicesimo di quel che servirebbe davvero.

È un’indulgenza condivisa dalle cancellerie europee, è vero, e da Draghi che ha gettato un nuovo salvagente, per ragioni tutto sommato comprensibili, ma che non contemplano il fatto che a un certo punto, come già successo nella storia di questo paese, il conto da pagare arriva, e arriva regolarmente accompagnato da fenomeni sociali e politici peggiori di quelli che si era cercato di disinnescare e di sterilizzare. Siamo un paese in crisi di produttività da decenni, che torna a raccontare ai suoi abitanti che si può prosperare redistribuendo risorse che non esistono e che toccherà ad altri produrre, tra qualche anno.

Ai nostri figli. A mio figlio che ha quasi vent’anni e a mia figlia che domenica prossima ne compie dieci. Una “questione di priorità”, certo. Sempre la stessa, velenosa priorità.