dimaio salvini

Con due trimestri consecutivi di crescita negativa, l’Italia è entrata ufficialmente in recessione. Non si tratta solo di una pessima notizia per l’economia italiana, c’è un’aggravante in più: la crescita negativa fa saltare i fili di ragno che tenevano insieme i fragilissimi equilibri della manovra economica approvata alla fine dell’anno, equilibri che rendono formalmente sostenibile il rapporto deficit-Pil.

Oltre alla nota dell’ISTAT di oggi, vale la pena leggere il rapporto sulla politica di bilancio 2019 dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio uscito ieri, che conferma le ragioni di preoccupazione già espresse nella audizioni parlamentari di dicembre dal suo presidente Pisauro.

Nel biennio 2020-21, il raggiungimento del rapporto deficit/PIL programmatico è interamente affidato alle clausole di salvaguardia su IVA e accise, già significative nel testo iniziale del DDL di bilancio e ulteriormente aumentate nella conversione in legge (all’1,2 per cento del PIL nel 2020 e all’1,5 per cento nel 2021). Tali clausole, peraltro, rappresentano determinanti cruciali della riduzione programmata del rapporto tra il debito e il PIL nel biennio 2020-21.

Alla luce di quanto avvenuto in passato, la prospettiva di sostituzione delle clausole appare, perlomeno, di realizzazione complessa. Gli interventi di riduzione della spesa non dovrebbero verosimilmente interessare, se non in maniera limitata, le voci concernenti gli investimenti, che si vogliono potenziare; quelle riguardanti le prestazioni sociali, che si aumentano tramite la manovra attuale; i redditi da lavoro che verranno incrementati dai rinnovi contrattuali. Tenuto conto di tali esclusioni, la spesa residua aggredibile, rappresentata in buona parte dalla spesa sanitaria, sarebbe oggetto di riduzioni consistenti. Un ambito di intervento potrebbe riguardare – come sostenuto da anni – le cosiddette tax expenditure, anche se la legge di bilancio ne proroga alcune.

È un buon promemoria di quello che ci aspetta: non esistono coperture per le misure bandiera del Governo, reddito di cittadinanza e quota 100, che potranno essere pagate solo attraverso nuove tasse (o l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia o una mega-patrimoniale), aggredendo la spesa sanitaria, lasciando schizzare il rapporto deficit-pil ben oltre il sopportabile: al netto delle clausole di salvaguardia, e rispettando le stime di crescita previste, la sequenza del triennio 2019- 21 è 2,0/3,0/3,0).

Ed è proprio qui, sulle stima di crescita previste, che la recessione agisce come un volano di disastri, accelerando i tempi di una drammatica resa dei conti con la realtà. Non esiste una maggioranza parlamentare - non esiste oggi, probabilmente non esisterà nemmeno dopo eventuali elezioni anticipate - in grado di intestarsi la paternità delle misure dolorosissime che ci attendono, anche dando il proprio sostegno a un governo tecnico: i governi tecnici fanno le cose che i partiti non vogliono fare, ma hanno bisogno dei voti dei partiti per farle. A maggior ragione questa maggioranza non esisterà se la recessione imporrà interventi correttivi ancora più duri.

La recessione è il nuovo capitolo della manovra a orologeria, il cui esito noto, benché prudentemente taciuto, è la nuova crisi dello spread che ci finirà per trascinarci fuori dall’eurozona senza freni e senza paracadute.