salvini 1 grande

"Ordine e disciplina" è da sempre la versione pubblica della violenza politica privata. È il teppismo che si fa potere. Lo squadrismo che si fa Stato. Il manganello che si fa legge. È la violenza che si fa ordine insorgendo dentro (e contro) il disordine violento, ma senza mutarne il segno.

Salvini (o chi per lui) non usa le parole a caso: non cerca lo scandalo, cerca al contrario la legittimazione, anzi, per certo verso, la "consacrazione" di una leadership fuori dalla logica del governo e dei suoi risultati, ma dentro lo spirito del popolo, cioè dentro il sentimento prevalente di un'opinione pubblica che paura e sfiducia rendono sensibile ai risarcimenti simbolici, all’idea di vendicarsi dal male da cui si sente afflitta, più che a quella di porvi rimedio.

Proprio come nel comunismo, dove la salvezza, la rivoluzione “compiuta”, era in un avvenire postumo alla definitiva sconfitta del nemico, così il populismo non ha bisogno di promettere ai suoi seguaci di avere qui e ora migliori redditi, migliori servizi, migliori condizioni di vita. Deve trovare un nemico e sacrificarlo al rancore del popolo – e tanto basta per diventarne un beniamino, nella lunga marcia verso la liberazione.

Ma il popolo “populista” non è neppure unito da sentimenti di solidarietà e da legami ideologico-morali, non si sente parte della stessa classe, della stessa cultura, della stessa genia, neppure della stessa “razza”. Non crede nelle stesse cose. Non ha neppure gli stessi interessi. Non è dunque neppure, in senso proprio, un “popolo”. È un pubblico, un target pubblicitario, un cluster di consumatori di un prodotto politico adattabile a tutte le paure e a tutte le passioni, purché negative. Come ha compreso per primo in Italia il genio maligno di Casaleggio, il “voto contro” non è esclusivo, ma inclusivo. È ormai in Italia l’unico vero voto interclassista e nazionale. È una somma di rivolte private a cui non è neppure utile appiccicare il cartello di una Rivoluzione. Chiunque può votare Salvini o il M5S, ovunque e per qualunque ragione. Poveri e ricchi. Di “destra” e di “sinistra”. Nelle città e nelle province. Al Nord come al Sud. 

L’egemonia culturale del populismo è in questa perfezionata alienazione del popolo dalla coscienza non solo culturale, ma addirittura psicologica, del “mestiere” della politica e della responsabilità delle istituzioni. Come i guaritori trasformano la medicina in un incantesimo della malattia, i populisti trasformano la politica in un esorcismo.

Nella guerra civile populista che si combatte tra la Lega e il M5S, Salvini ha l’esigenza, tutto sommato congiunturale, di non uscire sconfitto dallo scontro con Di Maio sul caso Siri. Ma ha sopratutto bisogno, come nazionalista, di ancorare il populismo al fondo dell’eterno fascismo italiano, alla sua terra madre nazionale. Ed ecco arrivare il richiamo all’ordine e alla disciplina, eterno rifugio dei farabutti, come e più del nazionalismo.

@carmelopalma