Il condono c’è, ma non si dice. La ‘manina’ di Goebbels sulla manovra
Istituzioni ed economia
Sabato sera, al termine del Consiglio dei Ministri riparatore, il premier Conte e i suoi due capi e vice Salvini e Di Maio si sono presentati nella sala stampa di Palazzo Chigi e hanno presentato il contenuto dell’accordo sul decreto fiscale.
In primo luogo, non hanno diffuso un testo, perché come è noto il Consiglio dei Ministri ormai da tempo - da ben prima del governo giallo-verde - non approva più testi normativi, ma indirizzi politici suscettibili di diverse e contrastanti traduzioni normative, alla fine consolidate in forma irrituale e extra-istituzionale nel negoziato tra i vertici politici dell’esecutivo e quelli delle strutture ministeriali interessate.
I decreti legge e i disegni di legge governativi sono ormai metodologicamente una materia da “manine”, avendo cessato di essere l’oggetto della delibera formale di un organo istituzionale. La discussione surreale circa chi scrivesse, leggesse e dormisse nel Consiglio dei Ministri precedente, e di chi fosse la “manina” incriminata di avere infilato un non concordato scudo penale per il riciclaggio e per i capitali all’estero è interamente a valle dell’unico fatto certo di questa vicenda, cioè dall’ennesima e deliberata effrazione delle regole da parte dell’esecutivo.
In secondo luogo, Conte, Di Maio e Salvini nella conferenza stampa si sono concentrati sull’obiettivo di pubblicizzare la ristabilita concordia politica e soprattutto di negare che il controverso provvedimento fiscale contenesse un condono. “Nel decreto non c’è nessun condono fiscale” ha scandito Di Maio mentre gli altri due facevano no con la testolina. Invece, ovviamente, era sì.
“Il condono fiscale rappresenta un istituto di carattere temporaneo ed eccezionale, con efficacia retroattiva, che consente di definire in modo agevolato i rapporti tributari non ancora esauriti, mediante la corresponsione di una somma di denaro inferiore al quantum a titolo di tassazione ordinaria, con contestuale abbandono della pretesa sanzionatoria.” (questa la definizione sul sito della Treccani).
Posto che, come detto, manca un testo di riferimento per confermare o fugare i sospetti, è pacifico che il decreto contiene un condono, in quanto consente ad alcuni contribuenti di pagare sui propri redditi meno di quello che avrebbero pagato se li avessero regolarmente dichiarati e/o avessero regolarmente corrisposto l’imposta ordinaria prevista su di essi. Anche senza considerare “disonesto” o sempre ingiustificato un provvedimento di questo tipo, bisognerebbe convenire che ad essere disonesto è dare ad esso un altro nome, che non ne migliori, ma ne occulti sia la natura che la comprensibilità. È un condono, ma non è un condono. Beneficia gli evasori, ma è un atto di giustizia. Premia un comportamento sleale, o per lo meno irregolare, ma è un sollievo per gli italiani onesti.
La vera manina, in questa vicenda, non si muove tra le parole delle norme, ma tra quelle della propaganda governativa. Se come diceva Goebbels una bugia ripetuta mille volte diventa una verità, anche una verità negata mille volte diventa una menzogna.