binari change big Come un fiume carsico, ogni tanto riaffiora l’ipotesi di “far cadere” il governo gialloblù, lavorando ai fianchi il partito azienda che esprime l’attuale Presidente del Consiglio perché si stacchi dalla Lega. Attenzione! Non parlo di chi teorizza che il MoVimento sia una simpatica congrega di “compagni” delusi e quindi spinge per un atteggiamento benevolo sul decreto dignità o non si espone sulla vicenda Ilva, per stare all’attualità di queste settimane. Questi sono una minoranza e non vale la pena di perderci tempo. Mi riferisco invece a chi sostiene che il PD debba farsi “parte diligente” per far deflagrare le contraddizioni interne alla maggioranza. Questi sono molti di più, soprattutto tra i militanti del PD.

Chiarisco in principio che personalmente non condivido questa linea. Penso che il compito del PD e di chi si oppone a questo governo (anche di Forza Italia? In estrema sintesi sì, ma FI meriterebbe un articolo a parte) debba essere un altro. Il compito principale dell’opposizione è soprattutto quello di prepararsi ad andare al governo. E questo avviene lavorando su un piano completamente diverso, ovvero attivando un circolo virtuoso: recuperare consenso e relazioni, rappresentare interessi, elaborare una proposta politica coerente and so on… Altro esempio: non serve un centro studi, ma la capacità e l’autorevolezza per riconnettersi con chi “studia”, con i corpi intermedi, con l’intelligenza diffusa di questo Paese. In altri termini facendo politica con un progetto di ampio respiro, capace di esplicitarsi ovviamente anche nella battaglia quotidiana.

Dicevo, io non lo condivido, ma non faccio fatica a riconoscere che il ragionamento ha un suo fondamento: è forse il peggior governo che ci potesse capitare (pericoloso, irresponsabile, avventurista), farlo cadere deve essere la nostra ossessione. Lo trovo forse un po’ contraddittorio: come puoi pensare di fare qualcosa, fosse anche solo farlo cadere, con chi questo governo (pericoloso, irresponsabile, avventurista ecc.) lo ha fatto nascere solo un paio di mesi fa? Ma resta un ragionamento sensato e soprattutto condiviso da molti. Vale quindi la pena prendere per buone le intenzioni dei fautori della tesi e verificare se la strategia di chi vuole far emergere le contraddizioni interne alla maggioranza ha qualche possibilità di successo.

Nessuno ha la sfera di cristallo, ovviamente. E il metodo che propongo non ha la pretesa di essere infallibile, ma giochiamo insieme: cerchiamo nella recente storia politica del paese qualche precedente, consideriamo le analogie e vediamo se gli esiti di questa “strategia” sarebbero auspicabili.

Li chiamerò i “dialoganti”. Teorizzano che per mettere in crisi i gialloblù si debba dialogare con il MoVimento, separare M5S dalla Lega e fare un “ribaltone”, sostituendo la Lega con il Pd. Non vi ricorda qualcosa? Il modello è evidentemente la strategia dalemiana che separò la Lega da Berlusconi nel 1994 e portò prima alla nascita del governo Dini (con l’astensione determinante di Forza Italia, però) e poi ad un centrodestra diviso alle successive elezioni; e fu questa divisione a determinare la vittoria dell’Ulivo nel 1996. A prima vista una strategia da ripetere, no? Peccato che quel tipo di evoluzione non sarebbe oggi così scontata, anzi.

In primo luogo perché un governo M5S-PD non avrebbe i numeri: servirebbe l’astensione di FI o - in analogia con il 1994 - della Lega. E soprattutto perché la Lega - abbandonata dai 5S - potrebbe sempre presentarsi alle elezioni successive assieme al resto del centrodestra, se non addirittura da sola, ma veleggiando oltre il 30%. Peraltro, la coalizione che immaginano i “dialoganti” assomiglierebbe molto più alla “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria, che ad un “nuovo ulivo”. Un passo indietro verso una delle sconfitte più brucianti della storia della sinistra italiana: eviterei.

Ci sono poi altri tre “precedenti” ai quali guardare. Solo uno però (1998, fine del Prodi I) nacque da un ribaltone (anche se sarebbe più appropriato chiamarlo ribaltino). Gli altri due casi non sono analoghi alla strategia dei “dialoganti” perché hanno cause indipendenti dal volere delle opposizioni. Ma stiamo giocando, quindi vediamoli velocemente. Nel 2008 Prodi viene colpito “a freddo” da Mastella, raggiunto da avviso di garanzia, ma soprattuto indispettito (diciamo così) dalla “vocazione maggioritaria” veltroniana. La conseguenza? Elezioni. Nel 2011 invece Berlusconi lascia sotto i colpi dello spread. Scenario -quest’ultimo - da non escludere anche oggi, ma che portò ad un governo di larghe intese, non certo un esito gradito ai “dialoganti”.

Veniamo così al 1998. Ovvero l’uscita di Bertinotti dalla maggioranza e il suo rimpiazzo con Cossiga che portò alla staffetta Prodi-D’Alema a Palazzo Chigi. Quella fu una crisi tutta interna alla maggioranza, che potrebbe essere analoga a quella di oggi se la strategia di far deflagrare le contraddizioni interne al M5S sull’asse destra sinistra andasse a buon fine. Cosa accadde nel 1998? La parte più “ideologizzata” (Rifondazione Comunista) rompe con l’Ulivo su una battaglia di principio (le 35 ore), ma viene rimpiazzata da qualche - diremmo oggi - “responsabile”. L’esito dell’azione dei “dialoganti” sarebbe oggi molto simile: uscirebbe la frangia più ideologica dei 5S (quella che fa riferimento a Fico), ma verrebbe poi sostituita da Fratelli d’Italia e forse anche da Forza Italia o parti di essa, portando a compimento la legislatura con un governo Salvini.

In definitiva gli amici e compagni della mozione “tutta tattica e poca strategia” si illudono di essere i protagonisti del film di D’Alema del 1994 ma si ritroverebbero a fare le comparse in un remake: Salvini che reinterpreta in salsa leghista il D’Alema del 1998 e si accomoda a Palazzo Chigi.

E quindi? Il Paese è senza speranza? No. Resta la via maestra, che è - per definizione - in antitesi alle scorciatoie. E la via maestra è la politica, ovvero attivare quel circolo virtuoso ricordato in principio. Anche io avverto l’urgenza di fare presto, ma se la scorciatoia porta nel burrone, forse conviene scegliere altre strade. E incamminandoci, ricordiamoci delle parole di Baden-Powell: “Non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento”. Diamocelo, questo sì, al più presto.