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Come era prevedibile, Vladimir Putin stravince le presidenziali russe superando il 70% dei consensi. Il suo record personale. La prima volta Putin venne eletto nel 2000; l’unica volta in cui non poté partecipare perché arrivato a due mandati consecutivi fu nel 2008: allora il fedele Medvedev, ex primo ministro, corse al suo posto e Putin divenne primo ministro. Con una legge ad hoc ne aumentò i poteri. Dal 2012 i mandati durano sei anni e non più quattro, quindi Putin reggerà la Federazione Russa fino al 2024.

Ovunque nel mondo, un uomo che governa per 24 anni senza reali avversari instaura un centro di potere che si autoalimenta, si autolegittima e finisce col danneggiare gli interessi del popolo e della "nazione". Putin si è inserito, anzi è stato inserito (da manovre di un palazzo diverso dal Cremlino) nel sistema politico di un paese che faticava a confrontarsi con l'Occidente a cui voleva però assomigliare, e l'ha trasformato in un paese che si contrappone all'Occidente, senza cercare di assomigliargli. Per alcuni questo è un pregio, ma potrebbe trattarsi di una magra consolazione se si pensa all'isolamento in cui (per ora) è caduta la Russia.

E tuttavia il popolo, al netto dei brogli e delle pressioni, appare compiacersi del nuovo ruolo della Federazione, un ruolo che esterna potenza ed egemonia e raccoglie le simpatie, in Occidente, di chi frattanto ha costruito uno sguardo critico sulla globalizzazione, sulla Nato, sull'Europa. Salvo eccezioni, l'avversione alla globalizzazione e all'Unione Europea è parallela alla simpatia verso l'uomo forte del Cremlino. Occorrerebbe però approfondire meglio la psicologia elettorale del cittadino russo. Il sostegno "bulgaro" al presidente non è il segno di una adesione esplicita ad un preciso programma politico, che infatti è sempre piuttosto vago, bensì di un nazionalismo che resta permeato nella società e nella cultura e che scambia per successi sul piano internazionale atteggiamenti e azioni che invece, com'è noto, producono isolamento.

In questi 18 anni Putin ha sì cambiato la Russia, ma non l'ha resa un paese migliore e moderno: accanto a un'oggettiva crescita sia del turismo che dell'imprenditoria, permangono sacche di povertà e arretratezza; la Russia è un Paese dai mille volti, che Putin ha governato muovendo i fili dell'economia e dell'informazione per favorire gli amici e mettere all'angolo chi non era suo amico.

Lo Zar ha fatto leva sulle uniche risorse che possedeva: il petrolio, il gas e quel che restava dell'egemonia verso i Paesi dell'Europa dell'Est, cercando di tenerli lontani dall'attrazione occidentale. Per farlo non ha esitato a intervenire militarmente in Moldova e in Ucraina per contrastare le libere aspirazioni di quei popoli e dei loro leader più avveduti e moderni. Ha spaccato la Moldova favorendo la creazione della Transnistria che, nei fatti, è diventata una centrale di economia sommersa e di traffico di armi; ha occupato la Crimea ucraina prima con i soldati russi già presenti, poi annettendola dopo un referendum ridicolo; è intervenuto militarmente anche nel Donbass, dove ancora si combatte nel silenzio generale. E c'è chi segnala perfino apparecchiature militari russe in altre zone dell'Ucraina.

Ancora molti, in Occidente, credono che Putin abbia normalizzato la Cecenia sconfiggendo i terroristi islamici, ma la Cecenia di oggi, la cui leadership è alleata del Cremlino, è un territorio in cui sono tollerati poligamia e delitto d'onore, in cui le donne che non indossano il velo negli uffici pubblici possono rischiare di essere colpite e picchiate. E' il territorio in cui, nel 2017, esplose il caso delle prigioni segrete per i gay, negato da Ramzan Kadyrov (il presidente ceceno) con la risibile scusa che "non esistono gay in Cecenia". L'attivista italiano Yuri Guaiana venne arrestato a Mosca mentre cercava di portare davanti ad un tribunale milioni di firme raccolte in tutto il mondo per chiedere che venisse aperta una inchiesta. La Russia è un paese in cui è difficile chiedere ai giudici di occuparsi di un problema riguardante i più elementari diritti civili ed umani.

Parlare di Cecenia è impossibile senza ricordare Anna Politkovskaja, eccezionale e coraggiosa giornalista, che prima di venire uccisa nell'androne di casa sua subì un tentativo di avvelenamento mentre in aereo si recava a Beslan, cittadina dell'Ossezia, per tentare una trattativa con presunti terroristi ceceni che avevano fatto prigionieri numerosi bambini all'interno di una scuola.

Dal 2014, cioè dall'annessione illegale e illegittima della Crimea, l'Occidente ha posto sanzioni (mirate) contro la Russia e in cambio ha ricevuto ritorsioni (per nulla mirate, ma generalizzate a numerosi settori produttivi) che, nella "vulgata", impediscono o frenano i commerci. Una "vulgata" peraltro falsificata dai dati che, nel 2017, certificano la crescita dell'export verso la Russia sia complessivamente che in numerosi singoli settori. E d'altra parte pochi sanno che la Russia tenta da ben prima del 2014 di sostituire le importazioni con la produzione interna, cercando di coinvolgere l'expertise straniera ("made with Russia"), per compensare i rischi derivanti dal basare la propria economia quasi esclusivamente su gas e petrolio.

Nel mese di marzo 2018, oltre alla scontata rielezione di Putin a presidente della Russia, abbiamo assistito anche al risultato (non così scontato nelle dimensioni) delle elezioni parlamentari italiane, con la netta vittoria del Movimento 5 Stelle e, nell'ambito del centrodestra, della Lega: due partiti che in questi anni hanno consolidato una posizione vicina alla Russia sugellata anche da scambi e visite ufficiali alla Duma e con il partito Russia Unita di Putin. Tra le tante iniziative si ricordano gli ordini del giorno dei consigli regionali del Veneto e della Lombardia (approvati con i voti di Lega e Movimento 5 Stelle oltre che del centrodestra e di alcuni esponenti del Pd) per chiedere al governo italiano, addirittura, di riconoscere l'annessione della Crimea alla Russia.

Nel 2018 è italiana la presidenza di turno dell'Osce. Non è quindi indifferente al nostro paese la questione dell'eventuale riammissione della delegazione parlamentare russa del Consiglio d'Europa, che dal 2014 non ha diritto di voto. Da varie parti si propone di concederlo di nuovo ai parlamentari russi, piuttosto a cuor leggero, mettendo una pietra sopra il passato nonostante l'occupazione della Crimea permanga in essere, con diverse violazioni di diritti ad esempio nei riguardi dei Tatari. Il timore è che l'Italia, che sarà presumibilmente guidata da una maggioranza filorussa, sfrutti la presidenza di turno dell'Osce per andare in quella direzione anziché continuare a fare valere la forza del diritto nel dibattito internazionale.

Alla base del Consiglio d'Europa risiedono valori considerati universali: il primato dello stato di diritto, la libertà, la democrazia. Alla luce di questo, appare prematura la restituzione del diritto di voto ai membri russi dell'assemblea parlamentare del Consiglio, senza che vengano riparate le ragioni per le quali quel diritto di voto era stato sospeso. Il Consiglio d'Europa stesso perderebbe oggettivamente di credibilità.

Come ricordava qualche mese fa il ministro degli esteri ucraino Pavlo Klimkin, "la Russia deve unirsi all'Europa e al mondo democratico come partner affidabile. Dobbiamo continuare a fare tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo. Ma allo stesso tempo la Russia deve essere messa di fronte alle proprie responsabilità per i suoi ripetuti crimini". E, per farlo, non è possibile prescindere da una posizione di continuità nel rigore delle sanzioni. Quello che è accaduto nel 2014 in Ucraina e, successivamente, quello che è accaduto in Siria con il sostegno ad Assad, così come l'eliminazione fisica o la messa ai margini degli avversari e dei nemici (politici, economici o d'altro) stanno a dimostrare che non siamo noi occidentali ad isolare Putin, ma è Putin che isola la sua Russia con l'atteggiamento arrogante a cui ci ha abituati.