McDonalds Russia

Procura una certa soddisfazione svegliarsi il mattino del primo dell’anno, magari ancora in hangover, e leggere che Vladimir Putin in un nuovo paper strategico definisce l’espansione della NATO come “una minaccia alla Russia”. Nulla di nuovo, per carità, ma l’esplicitazione della nuova etichetta “minaccia” avvicina molto all’applicazione di quella di “nemico”.

I rapporti tra NATO e Russia, in effetti, sono parecchio tesi, in particolare dopo la prova muscolare di Putin in Crimea. Tuttavia, col passare degli anni e dei mandati di Obama, si è delineato come uno scambio di ruoli: la Russia, con l’intervento in Siria, compie un’operazione da “poliziotto del mondo” tipicamente americana, mettendo soldati e risorse a sostegno dell’alleato Assad, in nome della “lotta al terrorismo”.

Obama, dal canto suo, si allontana dallo spirito poliziesco dei Bush, rifacendosi ad una dottrina più liberale, a tratti quasi isolazionista. Della sua presidenza nell’ambito della politica estera si ricorderà qualche pasticcio in Medio Oriente, ma con un occhio più bonario di quello riservato a Bush, Rumsfeld, Powell e Rice.

Di Putin si ricorderà l’ingresso scomposto nella polveriera siriana e il soffiare sul fuoco dell’instabilità della zona: le scaramucce con la Turchia, l’utilizzo strumentale delle frizioni tra sciiti e sunniti, la rivendicazione (come è avvenuto ieri, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita) di un ruolo di “mediazione”, cioè di ribadita centralità della Russia nello scenario mediorientale, ma non di stabilizzazione. Senza contare che, nella guerra sul prezzo del petrolio che divide le fazioni dell’Opec, la Russia è un attore tutt’altro che disinteressato.

Di Obama, in ottica positiva, si ricorderanno invece soprattutto i grandi accordi di libero scambio sottoscritti, compreso quel TTIP che poggia le basi, almeno ideali, proprio su quella “relazione speciale” tra le due sponde dell’Atlantico. La stessa che sta alla radice dell’alleanza NATO. È proprio qui che risiede la differenza tra gli USA odierni e la Russia: nell’uso contrapposto di soft power e hard power. Obama pasticcia, però seduce. La NATO promette difesa, sicurezza, tecnologia, programmi infrastrutturali. Il Montenegro è stato l’ultimo paese a votare per aderirvi, poche settimane fa, facendo infiammare il Cremlino.

Putin invece minaccia, intimorisce, invade. I suoi accordi di libero scambio, come l’Unione Eurasiatica, sembrano molto più sbilanciati a favore di Mosca di quanto lo sia l’UE verso la Germania o la NATO verso gli Stati Uniti, fatte le debite distinzioni.

Putin, nel fare ancora una volta la voce grossa, dimentica alcuni dettagli. Ad esempio dimentica che la Russia, pur militarmente ed economicamente forte, non è nelle migliori condizioni per potersi permettere di fare troppo la spaccona. Dimentica che l’URSS ha perso la guerra fredda. Guerra non lo era, quindi all'epoca non c’è stata alcuna sfilata di truppe nella Piazza Rossa, ma si vedono più McDonalds a Mosca che falci e martelli a Washington.

Soffiare sul più acceso nazionalismo può essergli utile in ottica elettorale, ma più Putin gioca a fare Ivan Drago, più i Fantozzi di Bruxelles e oltre oceano si trasformano in Rocky. Il nostro problema, intendendo come “noi” le democrazie occidentali più o meno liberali, è che Putin è molto bravo a coltivarsi “alleati” tra le fila del “nemico”. Le Pen, Tsipras, Salvini, Trump, chi per le lusinghe, chi per i lauti contributi, chi per feticismo celodurista, sono piccoli megafoni delle istanze putiniane in Europa e negli States. Alleati che si strappano i capelli contro i danni economici derivanti dalle sanzioni, ma che, dall’altro lato, fingono di ignorare l’impoverimento da terzo mondo che deriverebbe da un’eventuale uscita dall’UE, o da altre alleanze occidentali, dei Paesi in cui agiscono.

Il miglior modo per sconfiggere Putin è riuscire ad essere e rimanere noi stessi: limando le debolezze e gli errori che sono nella logica natura dello Stato di Diritto, incrementando diritti e libertà, aumentando il controllo sullo Stato da parte dei cittadini, rendendo più efficiente l’accountability. Tutto questo potrebbe forse renderci ancora più invisi al Cremlino, ma ci farà rendere conto di vivere, oggi, in uno dei migliori sistemi possibili.