L’Ucraina nella Nato contro la guerra globale
Istituzioni ed economia
“Il futuro dell'Ucraina è nella NATO. L'Ucraina è diventata sempre più interoperabile e politicamente integrata con l'Alleanza. Accogliamo con favore i progressi concreti che l'Ucraina ha compiuto dal Vertice di Vilnius per quanto riguarda le riforme democratiche, economiche e di sicurezza richieste. Mentre l'Ucraina continua questo lavoro vitale, continueremo a sostenerla nel suo percorso irreversibile verso la piena integrazione euro-atlantica, inclusa l'adesione alla NATO”. Almeno a parole, i leader della Nato, riuniti nei giorni scorsi a Washington per celebrare il 75o anniversario dell’Alleanza, hanno affermato https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_227678.htm esplicitamente l’avvio di un processo “irreversibile” di ammissione dell’Ucraina.
Il carattere formale di aperto confronto con la Russia di questa dichiarazione assume una valenza particolare, perché di fatto pone un termine specifico, pur astratto e non definito nel tempo (salvo variabili storiche come gli effetti sulla Nato di una possibile rielezione di Donald Trump), all’attuale indeterminatezza dell’aggressione russa. Il messaggio a Mosca è chiaro: a un certo punto Kyiv sarà certamente parte della NATO, e questo conflitto non potrà quindi più proseguire nei termini attuali. L’aggressore dovrà quindi valutare se confrontarsi direttamente con l’Alleanza atlantica.
La dichiarazione ha fatto prevedibilmente infuriare Vladimir Putin, e suscitato un probabile forte malessere tra suoi simpatizzanti occidentali, che da sempre portano avanti la narrazione della “Nato guerrafondaia” e sostengono la necessità di trovare una non meglio specificata soluzione diplomatica al tentativo russo di annessione dell’Ucraina. La postura della NATO appare invece ragionevole, proprio in virtù della sua valenza formale, da un lato, e della sua indeterminatezza dall’altro.
Si dichiara “l’irreversibilità” dell’ingresso di Kyiv, e si annunciano alcune misure concrete funzionali a questo risultato - come l’istituzione del NATO Security Assistance and Training for Ukraine - fornendo così a Putin informazioni certe su cui impostare le proprie valutazioni strategiche e decisioni sul futuro della sua guerra a Kyiv e all’Occidente. Parlando di soluzioni diplomatiche: a volte una credibile risolutezza nel difendersi è più funzionale dell’appeasement a indurre un malintenzionato a più miti consigli, e quindi a aprire la possibilità di una distensione dei rapporti.
D’altronde, appare difficile comprendere quali potrebbero essere i termini realistici di una proposta alternativa di soluzione del conflitto che tenga conto del punto di vista russo, e tuteli le “ragioni di Putin”. Secondo i fautori di queste posizioni occorrerebbe stabilire almeno condizioni minime per garantire a Putin una pace che gli consenta di non perdere la faccia internamente. È più facile a dirsi che a farsi. Facendo l’ipotesi - per nulla scontata - che il leader russo possa accontentarsi delle regioni dell’est dell’Ucraina già conquistate, quali potrebbero essere realisticamente i costi politici e strategici di una simile “pace”? Almeno tre:
1. Gli ucraini dovrebbero subire la decisione presa da altri di essere territorialmente mutilati (qualcosa di simile a ciò che avvenne per la Cecoslovacchia con la Conferenza di Monaco 1938), e sarebbe il primo caso in quasi 100 anni di annessione territoriale fondata sulla mera conquista e di esproprio generale di sovranità di un paese ottenuto con la violenza, e riconosciuto formalmente dalla comunità internazionale.
2. Una simile “pace”, auspicata per evitare possibili escalation in conflitti più ampi e diretti tra Russia e Occidente (che è ciò che tutti davvero temono) rischierebbe paradossalmente di aumentare il rischio di escalation rispetto alla situazione attuale di guerra di attrito. Per essere efficace, dovrebbe infatti implicare una netta e esplicita “linea rossa”, e prevedere una certa reazione occidentale qualora la Russia provasse a violare gli accordi e riprendere l’aggressione. In tal caso l’escalation che si voleva evitare, sarebbe assicurata. Per contro, l’assenza di un formale limite invalicabile di questo tipo sarebbe per Putin la prova che l’Occidente non è disponibile a morire per Kyiv, e dunque un semaforo verde per riprendere la conquista dell’Ucraina, e perché no, spingersi oltre, nei Paesi baltici o in Moldavia, fin dove possibile. Anche in questo caso, si tratterebbe di un’evoluzione del conflitto, che verosimilmente trascinerebbe prima o poi almeno i paesi europei in un coinvolgimento diretto, loro malgrado. Dunque, un’altra escalation, salvo ovviamente accettare qualsiasi iniziativa di Putin, e dunque una sottomissione alle sue volontà.
3) Il rischio/costo strategico più generale e globale di una “pace di Monaco” con Putin, per cedergli i “Sudeti ucraini” senza interpellare l’Ucraina, è l’abolizione immediata e irreversibile del diritto internazionale. La comunità internazionale dovrebbe infatti riconoscere la legittimità del principio dell’annessione imperiale per conquista militare (basato sulle solite ragioni tribali: “è la mia storia”, “è il mio spazio vitale” … - ognuna di queste narrazioni imperialiste ama espressioni roboanti per definire il suo diritto al furto e all’estorsione territoriale). In sostanza la comunità internazionale dovrebbe riconoscere - basta una volta, per affermare un principio generale - la mera potenza violenta nel ridurre altri paesi alla sottomissione, e la conquista imperiale e militare, come principi regolatori generali delle relazioni internazionali. Dal giorno dopo, chiunque avesse mire territoriali su qualcun altro, sarebbe legittimato a provare ad attuarle. È probabile che la Cina - per cui l’Ucraina è un interessante teatro per osservare le capacità militari e tattiche americane - attaccherebbe rapidamente Taiwan, e altri paesi farebbero lo stesso con territori che gli interessano.
La situazione creata da Putin non è facilmente risolvibile con criteri interpretativi meramente storici o di opportunità politica, o con semplicistiche strategie di appeasement. La posta in gioco, oltre all’esito di un conflitto regionale, e al rischio di una escalation più generale, è anche il collasso del sistema di legittimità politiche e giuridiche su cui si è retto l’ordine internazionale dal dopoguerra, e che ha permesso pace e prosperità per tutti. Una postura di deterrenza non aggressiva ma risoluta e credibile, che consenta ai nemici di quest’ordine di valutare i costi di ulteriori iniziative violente volte a farlo saltare, è forse l’unico modo per provare ancora a preservare la pace sul lungo termine.