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Un anno dopo, il progetto di bielorussizzazione dell’Ucraina può considerarsi fallito, comunque finisca la guerra che Putin non può più vincere, neppure minacciando cataclismi nucleari, e Zelensky non può più perdere, perché per la grande parte del mondo libero, che oggi assicura a Kiev il sostegno finanziario e militare per difendersi dall’aggressione russa, è chiarissimo che la libertà dell’Ucraina è una posta in gioco che non riguarda esclusivamente gli ucraini.

Un anno dopo, possiamo salutare con felicità e sollievo la sconfitta di tutti i determinismi geo-strategici, in base al quale i saputelli di come va il mondo prima hanno dichiarato impossibile che Putin facesse la guerra e poi, a guerra dichiarata, che non avesse i mezzi per concluderla trionfalmente. Tutta gente che non metteva in conto ciò che sfuggiva alle loro teorie “realistiche”, a partire dal fatto che Putin fosse stupido, come spesso sono i tiranni, che Zelensky non sia scappato, con un coraggio che hanno solo i leader democratici, che gli ucraini abbiano eroicamente resistito e che la storia, quando entrano in gioco prepotentemente e ultimativamente le questioni della vita e della morte, abbia sempre le sue incertezze e imprevedibilità, a volte rovinose e a volte, come in questo caso, benedette.

Un anno dopo, possiamo dire che l’Ue, il sogno tutt’altro che segreto di milioni di ucraini, il sinonimo della libertà politica per uno dei tanti popoli che hanno subito le violenze di Mosca, è stata a rimorchio della Nato e degli Usa, per lo più con un effetto frenante e ha fatto meno del minimo sindacale di quanto sarebbe stato utile e doveroso. Pur con tutte le dichiarazioni di amicizia e di solidarietà verso l’Ucraina europea, se il Governo di Kiev non dispone oggi di quanto necessario per riequilibrare almeno parzialmente la sproporzione di mezzi rispetto a Mosca la responsabilità va cercata in molte delle cancellerie dei 27 stati membri.

Un anno dopo l’Italia rimane quello che era un anno prima: un paese putiniano quanto l’Ungheria, con una classe dirigente politica (e non solo) compromessa, ricattata e quindi sensibile ai richiami del Cremlino e con una opinione pubblica educata per almeno due decenni, da destra e da sinistra, e da buona parte del nostro establishment intellettuale, compreso quello nominalmente “indipendente”, a considerare il putinismo l’unico regime che la Russia post-sovietica poteva permettersi, senza precipitare nel caos dell’anarchia e lo stesso Putin una sorta di Pietro il Grande post-moderno, un autocrate illuminato, un modernizzatore un po’ sbrigativo e arrogante, ma affidabile e razionale, che solo un pregiudizio democraticistico ingenuo poteva sospettare di chissà quali disegni imperial-criminali.

Infatti oggi, malgrado tutto quello che è successo, i cittadini italiani sono i meno propensi a continuare a sostenere Kiev e i più sensibili all’idea che il racconto di questa guerra inverta l’ordine delle cause, degli effetti e delle responsabilità, che andrebbero invece ricercate in una pervicace volontà di umiliazione della Russia e di strabordamento a est dei confini dell’Occidente, come se appunto l’Occidente, Nato compresa, non fosse per tutti i popoli vittima dell’imperialismo russo una vera e propria terra promessa, bensì un “invasore”.

Il fatto che i due presidenti del Consiglio che hanno accompagnato questo anno di guerra – prima Draghi, poi Meloni – siano stati sostenitori inequivoci della causa di Zelensky non può davvero considerarsi espressione del sentimento nazionale. Draghi ha espresso il Draghi pensiero, sfruttando la necessità anche delle forze della sua maggioranza compromesse con Mosca di stare allineate e coperte dietro al garante dei soldi europei. Meloni, stretta tra esigenze di legittimazione internazionale e legami politici con la Polonia di Morawiecki, oggi non potrebbe certo sfilarsi dal sostegno a Kiev, pur essendo stata dal 2014 in poi una oppositrice delle sanzioni a Putin, dopo l’invasione del Donbas e l’annessione della Crimea.

Ma questo allineamento legato a circostanze e esigenze contingenti non dice nulla dello spirito dell’Italia di fronte a una guerra che la maggioranza degli italiani considera soprattutto un terribile impiccio o perfino una manovra americana.