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La principale attività del primo partito italiano è in queste ore recuperare gli estratti conto e le certificazioni dei bonifici "di restituzione" di quote dello stipendio parlamentare versati, non versati, ritirati, dirottati e dimenticati dai tanti portavoce anonimi del primo partito ultra-personale e ultra-terreno, tuttora governato dagli algoritmi di un morto che ha passato al figlio i codici di controllo della macchina e ispirato da un leader sempre più lontano e assente nelle sue predicazioni post-politiche e nei suoi spettacoli tristi.

Tutto questo avviene mentre pezzi della classe dirigente italiana – a valanga al Sud, in modo corposo al Centro Nord, in modo timidamente dissimulato tra i tanti debolissimi poteri forti dell’Italia trasformisticamente “influente” – tentano di salire sul carro di un premier, che in vita sua non ha fatto nient’altro che schernire i politici per i loro stipendi e le loro prebende e ora deve governare l’immagine riflessa di quello scandalo, che il M5S ha dato l’illusione agli italiani di potere proiettare fuori di sé e quindi rimuovere dall’autobiografia della nazione. Un puro professionista della politica contro i professionisti della politica. Uno che non ha mai guadagnato nulla se non come esponente di partito, impegnato in una sacra crociata contro la democrazia dei partiti.

Lo scandalo che l'informazione dovrebbe raccontare non è quello dei tanti furbetti che pare abbiano barato rispetto agli impegni, ma di questa idea esibizionistica e poveraccista della responsabilità politica che promana dalla fattoria degli animali grillina. Essere un bravo parlamentare significa restituire parte dello stipendio. Essenzialmente questo. E nient’altro che questo, come crisma di “moralità”. L’informazione italiana che incalza Di Maio sul destino dei reprobi in realtà gli corre in soccorso, gli offre il patibolo su cui ghigliottinare i colpevoli ed esibire la purezza del vendicatore.

Di Maio – si accettano scommesse – uscirà benissimo da questa prova, perché nessuno gli chiede conto dell’ipocrisia dell’onestà, del conformismo manipulitista, dell’antipolitica come rovescio morale del malaffare politico e tutti gli chiedono lo scalpo degli “infiltrati” e dei “traditori”. C’è qualcosa di infernale in questa complicità oggettiva, se non soggettiva, tra classi dirigenti inadeguate, tra una cultura e una pubblicistica che continua stolidamente a catoneggiare sulle colpe della politica e sui privilegi della Casta e una classe politica post-democratica che ha trasformato le elezioni in un’ordalia e in una sala bingo, in un modo per sputare in faccia al mondo e per tentare il colpaccio, per giustiziare i colpevoli e propiziare i miracoli.

A essere disonesti non sono i “furbetti”, ma proprio l’o-ne-stà. Nessuno che abbia il coraggio di dirlo e ormai quasi di pensarlo.

@carmelopalma