DiPasquale comunismo

Il futuro della sinistra è quello di non essere più “sinistra”. Almeno quella del 900 con tutto il suo corredo marxista o post marxista.

La globalizzazione dell’economia ha tolto la trippa da distribuire alle ricche masse di “lavoratori garantiti” dell’Occidente, e in particolare a quelle europee che non possono usufruire della ricchezza “fittizia” creata una banca centrale che stampa moneta senza vincoli di copertura di ricchezza prodotta. 

In America e nell'Unione Europea non ci sono più capitalisti sfruttatori e classi operaie sfruttate, ma ricchi finanzieri che hanno ridotto utilmente la loro professione a scommettitori su banchi di un casinò truccato a loro favore, ricchi titolari di rendite di servizi più o meno pubblici, notabili e dipendenti pubblici a cui le pubbliche finanze garantiscono a prescindere (come avrebbe detto Totò) la certezza di rendite piccole o grandi. Restano gli emarginati, i dipendenti precari, le Partite Iva che provano a difendersi nell’evasione delle “decime”, gli esodati e i giovani senza lavoro e senza speranza.

Che ha da dire la sinistra arcaica a questi precari della ricchezza? Che sogno può promettere? Nessuno può più credere che il ritorno al salario garantito e al posto sicuro sia possibile al tempo dello Stato indebitato ben più della sua capacità di ripagare il suo debito e in cui il “collega” cinese accetta lo stesso lavoro per meno di metà compenso. Dunque è morto il Sol dell’Avvenire, e alla sinistra arcaica resta solo il tramonto di una speranza senza futuro.

Che hanno da proporre questi vecchi scolastici della lotta di classe a elettori non più “classificabili”? Solo la loro nostalgia di potere, anche quando si è risolta solamente nella vanità della notorietà, e l’ossessiva ripetizione di una ricetta placebo, come ad esempio il ripristino dell’articolo 18. Presi dallo sconforto cercano reciproche certezze in litigiosi circoli-partito in cui i notabili rischiano di risultare più numerosi dei loro elettori.

Per missione e storia la sinistra non può che essere il partito dei “deboli” alla cui difesa si è sempre votata. E tuttavia la nostra storia e la nostra cultura non favoriscono risposte realmente “progressiste”, ma piuttosto quelle “populiste” che si sostanziano sempre nel punire il “colpevole”, sia esso l’ eretico, l’untore, il capitalilsta, Il diverso o il politico corrotto. Risposte di cui si sono impadroniti alcuni partiti non proprio progressisti, a meno di non voler rionoscere la nuova sinistra nei 5 Stelle, con il loro vuoto vociare giustizialista, o nella Lega che vede nei migranti e nei banchieri europei i nemici del popolo.

I nuovi deboli dovrebbero credere e dunque sentirsi rappresentati solo da credibili proposte che superino le storture e i paradossi di una politica che legittima l’oggi rispetto al domani (che i deboli non hanno comunque) e il saccheggio della ricchezza piuttosto che la sua creazione. Non dovrebbe soddisfare la loro perdita di speranza nel futuro con il racconto di falsi Eldorado, piuttosto che della complessa verità dei nostri problemi da risolvere con un equa distribusione dei pesi delle riforme necessarie.

Ma, si sa, combattere i falsi profeti con la ricetta di medicine amare non è facile, soprattutto se ci rivolgiamo a malati stanchi delle loro pene e questo, purtroppo, è il compito di una nuova sinistra progressista, non populista.

Dunque, tre proposte in campo: i difensori dei privilegi di élite o di masse garantite, i populisti inquisitori o cacciatori di diversi, facilmente individuabili nelle proposte politiche in campo. Manca un partito e un leader credibile per la Sinistra. Renzi ci ha provato, forse solo per costruirsi uno strumento di potere personale, ma pare smarrito e posto nell’angolo da una coalizione di nostalgici marxisti, di conservatori e populisti, nonché dai molti, troppo interessati amici pronti a condividerne il successo ma non le difficoltà.