RenziLingotto

Ancora una volta, ad Imola, Renzi ha parlato della necessità di riformare il Fiscal Compact. Quasi un mantra ormai. È probabile che sia nell'allentamento dei vincoli di bilancio l'unica vera riforma dell'Europa a cui miri il segretario del Pd. Sa infatti benissimo che per l'Unione non ci sono vie alternative a quella maestra, decisa in altri tempi e da altri leader, ma non nasconde la fatica di percorrerla con il fardello dei conti pubblici di un paese, il nostro, da tempo in mano ai follower - categoria alla quale non vorremmo davvero trovarci ad ascrivere pure lui.

Posto che nessuno farà sconti all'Italia sulle partite finanziarie, è tuttavia vero che (almeno) per qualche mese ancora il Pd sarà l'unica forza di governo in una sinistra europea che ha di fronte a sè una doppia, difficile missione: riformare se stessa, dopo le débâcle francese e tedesca, e accelerare il percorso di consolidamento dell'Ue. Compito, quest'ultimo, che non compete certo a nazionalisti e pupulisti vari, e che dopo il complesso esito elettorale potrebbe ragionevolmente non essere un'urgenza neppure per Berlino.

Sul primo punto non vi sono alternative a porre con forza la questione della fine della socialdemocrazia europea, che è nei fatti. La frana dell'SPD dopo la sostanziale dissoluzione del PS targato Hamon non lascia spazio a fraintendimenti: si è chiusa una fase storica ovunque nel Vecchio Continente. Quella sinistra tradizionale di cui si diceva sopra, a stento sopravvive, incapace di adattarsi alla rapida trasformazione di tempi in cui scompaiono lavori, professioni e certezze, in cui cambia l'accesso ai mezzi di produzione, in cui povertà e ricchezza, fallimento e successo, sono concetti profondamente alterati da un quotidiano veloce, inedito per forme e contenuti. Molto più veloce ed immediato anche degli slogan facili con cui si prova a normalizzarne struttura ed effetti.

La svolta di Macron, dai più vista come nuovo orizzonte, ha avuto il merito di offrire un'alternativa concreta al vuoto di proposta, sia di sinistra che di destra. Essa si è rivelata forte nella sua rappresentazione elettorale e tuttavia fragile sul piano della cultura politica. In altre parole non ha storia, e si vede: il che è un vantaggio sotto molti aspetti ma un limite significativo sotto altri. 

Differentemente da En Marche! il Pd è invece figlio di una articolata sintesi politica e culturale di esperienze diverse. Per quanto valida o fallimentare la si giudichi - tra le speranze tradite di Veltroni, il freno di Bersani e gli strappi in avanti di Renzi - essa rappresenta e copre una storia di ben due lustri, e un tentativo di evoluzione che nessun altro partito della sinistra europea ha vissuto. Ecco perchè, possedendo in sé il germe di un innegabile e decennale sforzo di rinnovamento, il Pd del 2017 è anche l'unica forza europea di governo che può indicare la rotta a chi da quelle storie del Novecento proviene e da quelle non si rassegna ad uscire, per convenienza o per paura (vedasi il chiaro rifugio identitario evocato da Schulz dopo la sconfitta).

Ma se Renzi e il Pd sono fondamentali nel portare quel che resta del socialismo fuori dal recinto, uno come Macron diventa invece indispensabile nel radicare una prospettiva nuova per tutti i possibili compagni di viaggio, dentro e fuori il perimetro socialdemocratico: qualcosa che vada oltre categorie ormai morte e che abbia la forza di sfidare i tempi con proposte coraggiose. Cavalcando il tema dell’innovazione, che di quelle trasformazioni veloci e radicali di cui scrivo poc'anzi è la causa, ma al tempo stesso anche l'unico strumento di governance: per riuscire a coniugare politiche di crescita economica con politiche di crescita sociale.

E poi? Poi salpando con decisione verso gli Stati Uniti d’Europa, che del disegno dei padri fondatori è completamento necessario. Per farlo servono soprattutto nuove regole di ingaggio e il ridimensionamento del ruolo del Consiglio Europeo e del suo potere interdittivo; non credo neppure debba essere un tabù parlare di possibile restringimento del numero dei paesi aderenti, ove non ci sia la reale volontà di percorrere questa strada. Serve convinzione, soprattutto nella corrente fase storica, e il coraggio di andare più veloce (velocità che ritorna sempre, che è il vero tema chiave) perchè tante e complesse sono le cose da fare. Quali? Potremmo prendere come manifesto ideale quel che ha proposto Macron ieri l'altro alla Sorbona: tutte idee ottime a partire dalla difesa comune europea, che da sola sarebbe già una mezza vittoria.

Resta il fatto che solo l'area progressista è in grado di dare concretezza a questa spinta di coesione europea. E in quest'area progressista mai come adesso il Pd, per tutte le ragioni vedute, si trova a ricoprire un ruolo di forte responsabilità. Lo accetti, si prenda sulle spalle la sfida di trasformare e migliorare una grande storia politica, e attraverso essa le istituzioni stesse di un'Europa che non può davvero più aspettare. Punti a un modello di Comunità che coinvolga i cittadini anziché tenerli prudenzialmente distanti dalla difficile realtà delle scelte, senza più farli sentire democraticamente estranei alle grandi trasformazioni che pure vivono ogni giorno sulla propria pelle.

E soprattutto la smetta di chiedere “altre Europe” che non ci sono nè ci saranno mai, e tantomeno nuovi margini di indebitamento nazionale. Quella è roba del Novecento, e il Novecento è preistoria.