L'Italia vuole trattare i rifugiati come l’Europa fece con gli ebrei nel 1938?
Istituzioni ed economia
La giornata mondiale del rifugiato cade oggi in un'Italia in cui la maggioranza delle forze politiche e probabilmente degli stessi elettori avverte la mobilità umana legata alle guerre e alla miseria come un pericolo non solo antropologico-esistenziale, ma come una sorta di minaccia militare.
L'Italia è certo un Paese che la dissoluzione geopolitica di vaste aree del Nord Africa e del Medioriente e la resistenza di molti paesi Ue a ridiscutere i termini dell'accordo di Dublino ha reso l'approdo obbligato e formalmente "sigillato" di decine di migliaia di fuggitivi ogni anno, vittime della mafia degli sbarchi. Nel 2016, secondo il rapporto Global Trends dell'Unhcr, il nostro è stato il terzo Paese al mondo per domande di asilo (123.000), dopo Germania e Stati Uniti.
Nello stesso tempo, l'incremento degli sbarchi e la loro proiezione mediatica hanno comportato una evidente distorsione del pericolo percepito. La gran parte degli italiani pensa che in Italia vengano molti (o addirittura la maggioranza) dei profughi in fuga dalle aree geograficamente più vicine (siriani, libici, sudanesi...) e che la loro pressione demografica sia materialmente insostenibile.
Invece, la fotografia dei dati dimostra (verrebbe da dire: inutilmente) che la realtà è tutt'altra; più del 10% dei 22,5 milioni di rifugiati nel mondo è intrappolata in Turchia, che è il Paese che ne accoglie di più, seguito dal Pakistan. I Paesi che ne ospitano di più in rapporto alla propria popolazione sono il Libano (17%) e la Giordania.
Le minacce terroristiche e il senso di accerchiamento demografico favoriscono però il racconto allucinatorio e allarmistico non solo degli aspetti quantitativi - in Italia ad avere ottenuto il riconoscimento all'asilo sono complessivamente 130.000 rifugiati, meno dello 0,2% della popolazione - ma anche di quelli qualitativi di un fenomeno che avrebbe caratteristiche proprie e giuridicamente definite, ma finisce per assumere connotati politicamente mostruosi: quelli dell'invasione, della sostituzione demografica, della sottomissione religiosa.
La maggioranza degli italiani e certamente la maggioranza delle forze politiche italiane vorrebbe forse che ci si comportasse con i rifugiati asiatici e africani come gli stati europei si comportarono nel 1938 con le centinaia di migliaia di rifugiati ebrei che volevano lasciare la Germania e l'Austria: sbarrando loro le parte e stabilendo di fatto, nella Conferenza di Evian, che perché la questione ebraica non diventasse un problema interno dei rispettivi Paesi, lo scandalo dell'antisemitismo e i sintomi precursori della Shoah dovessero rimanere questioni interne al Reich nazista e non dovessero neppure essere denunciati.
Questa inclinazione alla rimozione della realtà e alla disumanizzazione della politica mi pare per i destini italiani un problema assai più grave dell’escalation delle domande di asilo.