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Se l’intenzione del governo, approvando un decreto che abolisce per intero l’istituto dei voucher, è quella di evitare un casus belli che avrebbe condotto il paese al referendum indetto dalla Cgil, si può dire che il risultato sia raggiunto solo a metà: sembrerebbe evitato il referendum, non l’edificazione di un nuovo totem che renderà molto difficile in futuro qualsiasi regolamentazione razionale del lavoro occasionale.

Che fosse impossibile evitare il referendum con un intervento di modifica che salvasse i voucher limitandosi a correggerne alcuni aspetti era piuttosto chiaro fin da subito (e da queste colonne ve lo avevamo detto, in beata solitudine): la cassazione avrebbe riformulato, come in occasione dei referendum sul nucleare e sulle trivelle, il quesito sulla base del nuovo testo di legge, e il referendum si sarebbe tenuto in ogni caso. Sarebbe stata una decisione ineccepibile, rispettosa prima di tutto delle centinaia di migliaia di cittadini che, con le loro firme, avevano ottenuto il diritto chiedere al paese di abolire i voucher, non di correggerne la natura o di limitarne il campo di impiego.

Via il bambino con l’acqua sporca, quindi, nonostante l’acqua sporca fosse molto poca. A dirlo sono i dati, e anche questi li avevamo esposti con dovizia di particolari nonostante la sorprendente equazione in voga sull’argomento, secondo la quale se uno strumento ha successo è segno che viene abusato oltre misura, e quindi va abolito. I voucher hanno successo, e piuttosto questo segnala che sono uno strumento utile, e che conseguentemente la loro abolizione sarà dannosa, sia per i fruitori che per lo Stato. Ripetiamo come promemoria dalla citata analisi di Roberto Cicciomessere sui dati dell'INPS:

per oltre tre quarti dei prestatori di lavoro accessorio (76,9%) questa attività rappresenta il secondo lavoro o la fonte integrativa del reddito (studenti, pensionati, beneficiari di ammortizzatori sociali, dipendenti e autonomi), mentre per il rimanente 23,1% è l’unica fonte di reddito regolare che, probabilmente, copre un lavoro svolto prevalentemente in nero o grigio.

Fig2 Cicciom 1710 611

Prestatori di lavoro accessorio (numero dei lavoratori) per alcune condizioni - Anno 2015 (composizione percentuale)

Il voucher ha con ogni evidenza contribuito in larga pare a regolarizzare prestazioni che altrimenti sarebbero state svolte in nero, con un vantaggio tanto per lo Stato che per i lavoratori ai quali questo strumento garantisce una copertura assicurativa e previdenziale per attività prestate perlopiù a integrazione di altri redditi. Una funzione simile a quella del mini-job tedesco, con alcune differenze non marginali: il mini-job riconosce - a differenza del voucher - una continuità al rapporto di lavoro attraverso un salario mensile (450 euro), indipendentemente dal numero di ore lavorate, mentre il voucher prevede una corrispondenza effettiva tra ore lavorate e ore remunerate. Per quel che conosciamo della struttura del mercato del lavoro italiano, è lecito presumere che il mini-job sarebbe soggetto, in Italia, ad abusi maggiori di quelli registrati per i voucher, per coprire lavori neri o grigi e come unica fonte di reddito, un po’ come è successo nei laender orientali della Germania.

Resta in piedi l’ipotesi di evitare il referendum e di tornare in seguito a regolamentare le prestazioni di lavoro occasionali e accessorie. Tutto è possibile, nelle intenzioni dichiarate dal governo in queste ore, benché molto difficile, dopo aver abbandonato l’opportunità di difendere pubblicamente i voucher in una competizione referendaria e avere sbracato completamente davanti alla retorica della Cgil (che peraltro i voucher li utilizzava, eccome, per remunerare i suoi dipendenti).

Oggi la confederazione guidata da Susanna Camuso celebra legittimamente un successo storico, coerente con l’ostinata opposizione - ha ragione Pietro Ichino - alla “sburocratizzazione” dei rapporti di lavoro contro cui si batte dal ‘97, dai tempi della riforma Treu: un successo dal quale difficilmente domani sarà disposta a retrocedere, e che il governo ha contribuito colpevolmente a costruire, dopo aver contribuito a costruire quello dei tassisti, alcune settimane fa. Una nuova confessione di debolezza e di pavidità, malamente camuffata da furbizia.

A dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che dar ragione a chi a torto per non rischiare di perdere il consenso è la strategia migliore per perdere sia il consenso che le buone ragioni.

@giordanomasini