Palma barcatricolore

Non vorrei che i ragionevoli inviti a non dare troppo ascolto agli scenari apocalittici descritti dai promotori del Sì e del No al referendum di domenica si traducessero in una sorta di processo di rimozione delle conseguenze del voto, che pure ci sono e sono notevoli.

Il voto consapevole, per ognuno di noi, è il prodotto di un mix di ragioni che non si fermano al merito tecnico del quesito ma non per questo necessariamente lo escludono, ed è inevitabile che sia così. E’ vero che domenica si vota per molte cose, come è sempre successo.

Si vota per avere una Costituzione migliore della precedente, che permetta di superare alcuni ostacoli di lunga data - o di data più breve - al processo legislativo e amministrativo, a cominciare dall’eliminazione del bicameralismo paritario e degli equilibri tra Stato e regioni derivanti dalla riforma del titolo V del 2001.

Si vota anche per fare in modo che una Costituzione migliore e più efficiente sia uno strumento “riformista”, al servizio di un paese che ha bisogno di essere ammodernato e riformato e non di essere conservato così com’è. E soprattutto al servizio di un paese che “abbia voglia” di essere riformato e ammodernato. Per questo la questione del governo è parte della questione costituzionale, al di là della sgradevole - ma probabilmente inevitabile - “personalizzazione” che tanto il premier quanto i suoi oppositori hanno a fasi alterne cavalcato e ripudiato: la linea di frattura su cui le forze politiche si sono posizionate, rispetto al quesito referendario, dividono in un modo che forse non è mai stato così evidente prima d’ora il riformismo dalla conservazione, ed impongono nei fatti di opzionare il pacchetto completo, riformismo o conservazione, che va dal testo costituzionale alla compagine di governo.

Si vota perché questo lento, faticoso ed estenuante processo riformatore cominciato con i referendum del ’93 non si fermi, poiché l’opzione che prenda altre strade, migliori di quella che stiamo percorrendo, non c’è. Non c’è nei fatti, non c’è nelle intenzioni delle forze politiche che si oppongono al governo in carica - come alla riforma costituzionale - ma nei fatti non si candidano a sostituirlo, caldeggiando tutti apertamente il ritorno al proporzionale della prima Repubblica. Chi si illude di mandare il PD a casa, votando No si troverà al potere solo un PD più confusamente consociativo e meno riformista, e un'opposizione contenta di stare all'opposizione, come ai bei tempi. 

Si vota quindi anche per scegliere un “combinato disposto” Costituzione-legge elettorale o un altro. Maggioritario o proporzionale: anche qui, riformismo o conservazione, quando non restaurazione.

Le cose si tengono - al di là di qualsiasi drammatizzazione, ma anche al di là di qualsiasi tentativo di negazione della realtà - e non può che essere così, in un paese chiamato a compiere una scelta decisiva.