Grillo fuori dall’Alde. Bene, ma dove sono i liberali italiani?
Istituzioni ed economia
Sul fallimento dell’accordo “tattico” che Guy Verhofstadt e Beppe Grillo avevano impacchettato, gli iscritti al Sacro Blog avevano autorizzato e i deputati europei liberal-democratici hanno infine (inopinatamente?) rigettato è possibile leggere sui giornali di oggi ogni sorta di analisi.
Tutte le spiegazioni e i commenti di questa operazione fallita sono centrate sulla duplice sconfitta del capo degli euro-liberali e del guru degli italo-populisti e sulle conseguenze che questa pesante battuta d’arresto comporterà per il loro destino politico.
Non c’è dubbio che i riflessi che la musata bruxellese avrà sulle strategie del M5S in Italia suscitino un notevole interesse, anche se non è affatto da escludere che la giustificazione del fallimento – la reazione dell’establishment e degli immancabili poteri forti – risulti alla fine per gli elettori pentastellati più persuasiva e confortante dell’ingresso “organico” del M5S nelle fumose stanze dei bottoni del PE.
Nello stesso tempo è evidente che l’infortunio del Giamburrasca fiammingo, presentatosi in questi anni come il più spericolato custode dell’intransigenza europeista e trasformatosi in uno spregiudicato negoziatore di “accordi indecenti” con il compare di Farage, è destinata a cambiare non solo gli equilibri interni della composita compagine lib-dem, ma almeno in parte anche quelli della politica europea. L’accordo è fallito in extremis, per la rivolta imprevista dei liberali più “tradizionali”, ma che sia stato tentato segna un passaggio che va ben oltre il destino di Verhofstadt. Nessuna sorpresa, dunque, che al centro di analisi e commenti ci siano questi aspetti più direttamente legati alla cronaca e alla contingenza politica.
Ma c’è un altro aspetto, tanto macroscopico quanto apparentemente invisibile, che questa vicenda fa emergere e di cui proprio l’invisibilità attesta la profondità e la gravità storica, almeno per quanti ritengono che l’europeismo liberale non appartenga, come molte altre categorie della politica novecentesca, all’archeologia ideologica pre-contemporanea, ma abbia ancora una obiettiva attualità e una forza di analisi e di indirizzo non puramente astratta o retorica rispetto ai problemi di governo della società europea e delle sue istituzioni nazionali e comuni.
In Italia l’operazione M5S avrebbe riempito surrettiziamente un vuoto – non esistono forze politiche affiliate all’Alde presenti nel parlamento italiano né in quello europeo – ma ha anche illuminato quel vuoto. Come giustamente in molti hanno ricordato, se dagli scranni dei liberali europei sono storicamente passati gli eredi legittimi della tradizione laica, repubblicana e radicale, in tempi più recenti vi hanno seduto anche leghisti e dipietristi, ospiti meno ingombranti dei grillini, ma non meno incompatibili politicamente. Tutti a far numero e a spartire i vantaggi economico-organizzativi di questa impropria affiliazione.
Da tempo, dunque, tutto parte e riporta a questo “vuoto”. Che ha cause politiche, non metafisiche. Che è responsabilità di chi dovrebbe essere in grado di riempirlo, non di quanti provano parassitariamente a occuparlo.
Per quanti vedono e avvertono la problematicità di questo “vuoto”, allora, il problema non è che un partito di eurosfascisti abbia provato a imbucarsi nel condominio dell'Alde, né che qualcuno dei condomini abbia trovato geniale o conveniente quest'opera di riciclaggio. Il problema è che in Italia non c'è (e sembra condannato a non esserci) un partito liberale ed europeista decorosamente coerente con la propria denominazione e, per quanto minoritario, rappresentativo di quella parte della società italiana che si vergogna di continuare a dare all'Europa la colpa dei nostri difetti e dei nostri fallimenti.
Chi giustamente rimprovera oggi Verhofstadt di essersi rassegnato al peggio, ha anche la responsabilità di proporre qualcosa di meglio del peggio, e soprattutto del nulla.