Grillo nell’Alde? Il colpo di grazia all’europeismo liberale
Istituzioni ed economia
La possibile adesione del Movimento 5 Stelle al gruppo dell’Alde in seno al Parlamento Europeo rappresenterebbe l’ennesima prova – forse quella definitiva – che a Strasburgo e a Bruxelles i cittadini europei non sono rappresentati da veri partiti “continentali”, né da famiglie di partiti, ma semplicemente da gruppi eterogenei con interessi contingenti. Come quelli che muoverebbero (usiamo il condizionale fino a ufficializzazione) il M5S e la dirigenza dell’Alde al matrimonio di comodo, per intenderci.
L’assenza di partiti autenticamente paneuropei - che esprimano al loro interno posizioni plurali ma ricondicibili a una comune visione di fondo – è stata negli ultimi due decenni uno dei maggiori freni a una reale integrazione politica europea, che accompagnasse e completasse l’integrazione economico-monetaria. Non è mai stato nell’interesse dei governi nazionali che tale stato delle cose fosse modificato, né probabilmente nell’interesse delle segreterie dei partiti. D’altronde, chi cede potere sua sponte? Chi accetta di essere secondo a Bruxelles quando può essere primo a casa propria?
I partiti paneuropei nasceranno - se mai nasceranno - per competizione e opposizione allo status quo, non per gentile concessione. Ma nasceranno mai? Il progetto della ever closer union europea vive delle sue fasi più difficili, perché la crisi economica e sociale dell’ultimo decennio ha colto l’Unione Europea in mezzo a un guado in cui rischia di sprofondare. La sua architettura sbilenca non piacerebbe né alla Thatcher né a Spinelli, e nell’opinione pubblica la tesi integrazionista è oggi poco attraente. I governi nazionali continentali, che bocciano (prima di Trump) il TTIP e non assumono posizioni responsabili e concrete nella gestione delle crisi politiche mediorientali, rappresentano oggi il miglior argomento in favore dei Brexiter, dei sostenitori dell’uomo forte di Mosca e delle istanze sovraniste e nazionaliste.
Con l’accettazione del M5S nelle fila del suo gruppo parlamentare, l’Alde di Guy Verhofstadt appanna e forse perde l’unico punto di forza a suo favore: l’essere il principale appiglio politico per le istanze squisitamente europeiste, che oggi sono un piccolo volgo disperso che voce non ha.
L’adesione del M5S al gruppo parlamentare dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici Europei non è paragonabile alla passata adesione dell’Italia dei Valori, per dimensione e per quanto fosse bislacca anche quella: il movimento di Di Pietro è stato sì antesignano di molti istinti giustizialisti e antipolitici dei grillini, ma non aveva né i numeri né la volontà di essere una formazione eversiva. Il M5S è “sfascismo” contemporaneo allo stato liquido, in via di solidificazione: ogni altra più moderata definizione non aiuta a rappresentare le cose per come sono.
E dunque l’Alde decide di accogliere nel suo grembo una formazione nazionale anti-concorrenza, anti-industrialista e anti-scientista, un partito politico che apertamente invoca l’irresponsabilità fiscale, il sovranismo monetario e con esso la distruzione della ricchezza privata. Il fatto che i grillini aderiscano al gruppo parlamentare Alde, ma non al partito, come ora diversi rappresentanti dell’Alde provano a sottolineare, non diminuisce la portata della scelta: la politica si fa anche e soprattutto dentro le istituzioni rappresentative.
Nel corso dei prossimi mesi e anni, vedremo probabilmente il gruppo Alde votare in modo scoordinato e scomposto, in accordo solo nell’accettare che ognuno faccia il proprio comodo. Verhofstadt s’illude se pensa di poter essere con Grillo come San Francesco con il lupo di Gubbio: l’ex comico non diventerà mansueto e finirà per ridicolizzare il buon Guy e con lui l’intera compagine liberaldemocratica. In una partita in cui il più serio sembra Nigel Farage, ci perde l’Alde e ci perdono soprattutto i sinceri europeisti, che da oggi vedono le loro idee peggio rappresentate proprio nelle istituzioni comunitarie.
La vicenda un po’ grottesca dell’unione Alde-M5S insegna che, con ogni probabilità e qualunque esso sia, il futuro dell’Europa non si gioca più nelle stanze di Bruxelles, che a furia di essere dipinte come “fredde” e autoreferenziali hanno finito per esserlo davvero.