Dijsselbloem

Cominciamo dalla traduzione esatta di quanto ha detto il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem nell’intervista al quotidiano tedesco FAZ:

'Nella crisi dell’euro, i Paesi del Nord dell'eurozona si sono mostrati solidali con i Paesi in crisi. Come socialdemocratico, ritengo che la solidarietà sia molto importante. Ma chi la chiede ha anche dei doveri. Io non posso spendere tutti i miei soldi per liquori e donne e poi chiederle aiuto. Questo principio vale a livello personale, locale, nazionale ed anche a livello europeo'.

Alzi la mano chi può onestamente dissentire dal principio di responsabilità individuale e pubblico espresso da Dijsselbloem con la sua metafora “liquori e donne”. Si può discutere e obiettare molto di quel che ha detto l’olandese. Non ha senso ad esempio distinguere un indistinto “Nord” da un calderone del “Sud”: la Francia con il suo robusto deficit di bilancio, ad esempio, dove sta? E i bassi tassi d’interesse favoriti dalla politica monetaria accomodante della BCE hanno davvero fatto comodo solo ai paesi mediterranei?

Da italiani, per dirne un’altra, segniamo come punto a nostro favore la costanza con cui negli anni di crisi abbiamo realizzato un avanzo primario (le entrate fiscali superiori alle uscite), mangiato solo dall’enorme debito pubblico da cui siamo zavorrati. Infine, si legge nelle dichiarazioni di Dijsselbloem quel certo pregiudizio da ditino alzato che non fa bene in un’unione che aspira ad essere ever closer.

Detto tutto questo, fatta la tara con semplificazioni, traduzioni errate e pregiudizi, la politica italiana ha probabilmente avuto la reazione più sciocca possibile a quel “liquori e donne”: il moto d’indignazione, con tanto di richiesta trasversale di dimissioni di Dijsselbloem. Tuttavia, tra riforme rinviate, scelte troppo timide, passi avanti a cui seguono passi da gambero, mance elettorali e veti incrociati, la classe politica e l’opinione pubblica italiana dovrebbero interrogarsi se davvero noi non abbiamo sprecato le buone condizioni di sistema degli ultimi anni.

La polemica sempreverde contro la “austerità”, gli euroburocrati, la Merkel e ora Dijsselbloem nasconde l’incapacità della politica italiana di affrontare in profondità le cause della scarsa crescita, dell’inadeguatezza del welfare e dell’inefficienza del settore pubblico. Chi dice “meno austerità” cosa vuole in concreto? Aumentare il deficit pubblico e così aggravare ulteriormente la situazione debitoria italiana, in una spirale che rapidamente ci porterebbe al default? O forse chiede l’attivazione di meccanisimi di redistribuzione tra paesi dell’eurozona, simili a quelli che abbiamo (con non poche tensioni e squilibri) tra regioni italiane?

In questa seconda ipotesi, c’è da fare i conti con l’approccio di Dijsselbloem, senza indignarsi. Perché a differenza di quanto avvenne con il Risorgimento italiano, un'eventuale maggiore integrazione fiscale (e dunque politica) dell’Unione Europea e dell’eurozona non potrà che avere natura "pattizia”, concordata, in cui tutti dovranno potersi fidare dell’altro. Un do ut des in cui i paesi mediterranei dovranno pur accettare una maggiore responsabilizzazione fiscale. Perché non esistono pasti gratis, figuriamoci le serate allegre tra donne e liquori.