Prima considerazione. Bisogna smettere di vivere emotivamente i cambi di governo delle democrazie. Con Alexis Tsipras non è arrivato né Gesù Cristo né Stalin, ma uno che ha detto ad un terzo abbondante degli elettori greci quello che questi volevano sentirsi dire, senza coerenza delle sue ricette e come se non ci fosse un domani.

Grecia-elezioni

Ma quando Tsipras smetterà i panni del candidato e assumerà quelli del governante, la realtà che avrà di fronte sarà molto più cruda di quella che ha raccontato con buona retorica agli elettori. Tsipras proverà a fare con maggiore verve ciò che i suoi predecessori hanno fatto: piangerà miseria per avere soldi e tempo. Rispetto al passato si troverà una situazione paradossalmente migliore: il Pil ha ripreso timidamente a crescere, avendo già raggiunto il fondo; c'è ormai la consapevolezza che una popolazione di 10 milioni di persone non può vivere sulle spalle dello Stato e che non basta truccare maldestramente i conti pubblici per essere virtuosi; infine, il nuovo governo beneficerà pro-quota delle nuove scelte accomodanti di politica monetaria della BCE.

Seconda considerazione. Sarà che da qualche mese il sottoscritto frequenta il Ministero degli Affari Esteri, ma nel pensare all'avvenire della Grecia (e a quello della Grecia in Europa) tendo a guardare molto a Oriente, in Cina. Per il governo di Pechino, aiutare la Grecia di Tsipras sarebbe un ottimo affare: con una linea di credito tutto sommato modesta per i forzieri dell'Impero di Mezzo, la Cina conquisterebbe un avamposto geopolitico nel Mediterraneo, si darebbe un'immagine "buonista" nell'opinione pubblica europea e metterebbe la sua golden share nel business del turismo nel Mediterraneo. Ce lo possiamo permettere? No, davvero. Dobbiamo rinunciare alla "modestia" tedesca di voler considerare la Grecia un paese semplicemente irresponsabile con cui avere una interlocuzione dura ma in fondo paritaria: l'Ellade è pezzo d'Europa che non possiamo consegnare alla Cina o a chicchessia.

Terza considerazione. Se la Grecia uscisse dall'euro, i mercati avrebbero un messaggio chiaro: si può uscire dall'euro, se lo fa la Grecia lo può fare l'Italia. Possiamo permetterci un rialzo dello spread come quello che abbiamo vissuto nel 2011? Allora, per salvarci, ci imponemmo una maxi-patrimoniale (IMU seconda casa e altre varie gabelle sulla ricchezza) ed elevammo drammaticamente l'età pensionabile. Oggi non potremmo fare né l'una né l'altra cosa, stramazzeremo al suolo come un elefante abbattuto da un bracconiere e trascineremmo con noi l'intero continente. Il cosiddetto Grexit è attraente, ma è tanto pericoloso.

Quarta considerazione. Il vero problema della Grecia è l'assenza di un sistema produttivo in grado di competere nell'economia globale. E' come il nostro Mezzogiorno, se questo fosse indipendente: Grecia e Magna Grecia sono molto simili. Un bellissimo oliveto a basso valore aggiunto, una terra da cui i giovani migliori emigrano portando in valigia il loro talento e le loro competenze, una società malata di parassitismo pubblico. Il leader di Syriza critica l'austerità per le ragioni sbagliate, quelle ideologiche, ma nessuno può sostenere che la Grecia starà meglio semplicemente applicando il compitino che le è stato assegnato, banalmente perché lì manca il tessuto produttivo capace di creare ricchezza. Possiamo fottercene di questo e a catena fottercene anche della mia seconda considerazione, oppure possiamo auspicare che l'Europa e le sue deboli leadership dicano al prossimo governo ellenico: "tu oggi hai il consenso del popolo greco, c'è il modo di concederti nuovo credito e dunque tempo, ma tu da oggi con la tua retorica barricadera fai digerire all'opinione pubblica del tuo paese una politica di riforme sul lato dell'offerta come non le avete mai viste e fatte, anche se accompagnata da qualche misura un po' social di quelle che piacciono a te".

Quinta considerazione. Quel che stiamo vivendo in Europa è un deficit di integrazione, non è la troppa integrazione. Se l'Unione Europea funzionasse come una vera federazione, lo stato federato della Grecia potrebbe anche dichiarare bancarotta, l'impegno delle istituzioni comuni si concentrerebbe sui cittadini in termini fiscali e di welfare e alle istituzioni greche toccherebbe ripartire da zero, ristrutturando e magari ridimensionando fortemente i numeri e le attività della pubblica amministrazione locale. La variabilità di ricchezza e solidità tra gli Stati americani non è necessariamente inferiore a quella dei paesi dell'eurozona, ma nessuno pensa che l'Alabama debba lasciare il dollaro o che i suoi cittadini siano meno americani degli altri. Maggiore integrazione, maggiore mobilità, un welfare europeo.

Conclusione. Relativizziamo, la Grecia è un paese piccolo e Alexis Tsipras è un politico come tanti altri, capace di prendere voti sintonizzandosi con i sentimenti dell'elettorato. Ciò non ne fa un buon governante ma forse non sarà peggiore - o non potrà essere peggiore - dei tanti che l'hanno preceduto, incluso i lestofanti che truccavano i conti dello Stato. Lasciare la Grecia al suo destino e tifare per l'uscita dall'euro è - a mio parere - una soluzione peggiore del male, con effetti geopolitici ed economici oggettivamente pesanti. Alexis Tsipras è un ragazzo fortunato, se saprà essere sufficientemente intelligente e paraculo beneficerà di quello di cui i suoi predecessori avrebbero comunque beneficiato: un bastone un po' più piccolo e una carota un po' più grande.