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Assumiamo, come sostengono quasi tutti gli economisti, le istituzioni internazionali e la stessa Commissione europea, che la decisione annunciata dal presidente del consiglio Matteo Renzi di abolire le tasse sulla prima casa sia completamente sbagliata perché non servirà a rilanciare il settore delle costruzioni, non aumenterà la domanda, priverà le amministrazioni locali di risorse autonome per coprire le spese e le deresponsabilizzerà con il ritorno dei finanziamenti dallo Stato centrale, eliminerà una delle poche imposte che non si può evadere e che esiste in tutti i paesi, con aliquote ben più elevate delle nostre. Sarebbe preferibile anticipare e rafforzare la riduzione delle tasse che gravano sul lavoro, sia a carico delle imprese sia dei lavoratori, e intervenire in modo più robusto sugli investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nel contrasto dell’esclusione sociale, e cioè della disoccupazione di lunga durata. È una scelta sbagliata, anche perché finanziata in deficit.

La domanda che propongo è la seguente: assumendo che la finalità prevalente, del tutto legittima, dell’iniziativa di Renzi sia quella di ampliare il consenso degli elettori al suo partito, è questa una scelta vantaggiosa anche per il paese? Saper vincere le elezioni, è una precondizione indispensabile per fare le riforme, una incombenza in più con la quale deve confrontarsi il politico che, per fortuna, non è nominato, ma eletto. Il resto è testimonianza, utile solo nella misura in cui, come è successo con le battaglie civili del partito radicale, c’è stato un leader come Marco Pannella che sapeva muoversi nel Palazzo come un pesce nell’acqua, e nel paese con lo scandalo della parola.

Se fossimo in un altro paese, la risposta sarebbe senz’altro negativa. Per esempio, il cancelliere tedesco Gerhard Schröder promosse a partire dal 2003 le quattro riforme “Hartz” del mercato del lavoro e del welfare, assolutamente invise al suo elettorato e al sindacato, che salvarono tuttavia il paese (il tasso di disoccupazione è sceso dall’11% al 5%), ma non fu rieletto. In ogni caso, l’unico a essere danneggiato fu il partito socialdemocratico tedesco, perché, la Germania uscì rafforzata dalla riforma, che fu pienamente attuata dalla cancelliera Angela Merkel, leader della coalizione Cdu/Csu che vinse le elezioni federali del 2005, in un testa a testa con Schröder.

Matteo Renzi si trova in una situazione molto simile a quella di Schröder, avendo promosso una riforma coraggiosa del mercato del lavoro e del welfare, molto vicina a quella del cancelliere tedesco, osteggiata ferocemente dal sindacato, ma anche da molti settori del partito democratico e da gruppi d’interesse saldamente ancorati a destra. Tuttavia, un politico che si rispetti, uno statista, deve correre il rischio di non essere rieletto nel momento in cui è convinto che le sue riforme siano utili al paese, anche se gli effetti positivi si vedranno oltre la scadenza elettorale.

Ciò che cambia rispetto alla Germania è l’assenza di un partito moderato e moderno di centro-destra, capace di governare il paese con un progetto altrettanto robusto e di un leader, come la cancelliera Merkel, che, con la Grande Coalizione (Cdu-Spd), ha attuato le riforme di Schröder, rafforzandole con interventi di stimolo dell’economia e di ricapitalizzazione delle banche, accompagnando la Germania all’attuale livello di piena occupazione e di sostenuto sviluppo economico. Un paese “forte e sano”, che sa unire i vantaggi della gestione intelligente dei flussi migratori a una leadership contro il razzismo, in forte crescita in tutti i 28 paesi dell’Unione.

In Italia le alternative a Renzi sono tre, una peggiore dell’altra per il paese, ovviamente a mio modesto avviso. Se il partito di Grillo vincesse le elezioni, com’è possibile, abrogherebbe, come ha rivelato nel suo incubo, il jobs Act, ci farà uscire dall’Euro e dalla Nato e condannerà al “41 tris” i funzionari di Equitalia, in perfetta sintonia con Salvini che prefigura, senza che alcuno lo spernacchi, uno Stato nel quale l’evasione fiscale non viene perseguita severamente. Anche il centro-destra può vincere le elezioni, con la leadership prevalente di Berlusconi o di Salvini: il primo ha ampiamente dimostrato, negli ultimi vent’anni, di non essere capace e probabilmente neppure interessato a fare le riforme, e il secondo non ha uno straccio d’idea di governo, oltre all’uso dei caccia-bombardieri per affondare i gommoni degli immigrati, senza i quali il nostro paese non potrebbe esportare il parmigiano, costruire le case e badare agli anziani.

Il paese rischia di essere portato a votare proposte che, solo qualche lustro fa, non avrebbero superato il banco del bar dello sport, forse solo dopo un caffè molto corretto. In queste simulazioni, è possibile che una volta al governo, i pentastellati rinneghino tutte i loro bellicosi proponimenti, come è successo a Tsipras (anche a Pizzarotti) oppure, in un altro scenario più probabile sulla base della nuova legge elettorale, che il governo Berlusconi-Salvini si limiti a qualche provvedimento demagogico contro gli immigrati e semplicemente non governi, come ha fatto nel passato. Contenimento del danno, nella migliore delle ipotesi. Anche questa non mi sembra un’alternativa esaltante per il paese.

Credo che solo Matteo Renzi abbia la capacità, la determinazione, l’ambizione e l’indispensabile consenso potenziale per proseguire il suo disegno riformatore e di contrasto delle corporazioni che hanno ingessato il paese da molti decenni. Con tutte le gravi controindicazioni che derivano dall’essere segretario di un partito che è in gran parte estraneo, anche per una parte della classe dirigente di fede renziana e soprattutto nelle sue espressioni territoriali, alla cultura politica liberale, indispensabile per poter completare con successo il suo disegno. Piuttosto servirebbe qualcuno che lo strattoni, magari anche ruvidamente, da posizioni liberali.

Alla luce di queste sommarie considerazioni, penso che la scelta di Renzi di abolire le tasse sulla casa per rafforzare il consenso al suo governo, ancorché sbagliata sulla base di qualsiasi evidenza empirica in un paese nel quale sono troppo tassati il lavoro e i profitti d’impresa e poco la proprietà e la rendita, potrebbe coincidere con l’interesse del paese perché consentirebbe a Matteo Renzi di governare anche dopo il 2018, e di risparmiarci di essere “governati” da personaggi pittoreschi come Grillo (peggio, da Di Maio, la sua controfigura con cravatta) o Salvini.