Scoppiata la bolla del petrolio, arriva il conto sulla crescita
Istituzioni ed economia
Pochi mesi fa, su Strade, all'indomani del crollo delle quotazioni petrolifere, avevamo avanzato l'ipotesi che lo scoppio della bolla dell'oro nero, e più in generale delle materie prime, non sarebbe stato quella panacea che tutti si aspettavano. Che non avrebbe aiutato gran che la ripresa in Europa e in Italia. E che, anzi, gli effetti negativi sulle economie dei paesi produttori ed esportatori avrebbero potuto essere piuttosto pesanti, con possibili ripercussioni anche sul resto dell'economia mondiale.
Questo scenario partiva da una considerazione piuttosto ovvia, cioè che, crollando le quotazioni internazionali delle materie prime energetiche, le ragioni di scambio, fino a quel momento straordinariamente favorevoli ai paesi produttori, sarebbero drasticamente peggiorate per loro.
Le difficoltà derivanti dal nuovo stato di cose ci apparivano altrettanto chiare. I paesi produttori ne avrebbero risentito in termini di minori introiti fiscali sull'export, il che avrebbe portato a una minore disponibilità di risorse per pompare la spesa pubblica, la domanda interna e quindi la crescita. A ciò sarebbe anche seguito un calo degli investimenti nel settore estrattivo con conseguenze parimenti negative sulla domanda interna. Da non sottovalutare era poi, in alcuni casi, la riduzione delle riserve di valuta estera.
Questo tipo di scenario si è già materializzato, in modo piuttosto drammatico, in Venezuela. Ma anche altri paesi esportatori di materie prime, in America Latina e altrove, stanno cominciando a soffrire per il crollo dei prezzi delle commodity. Anche sulla crisi del Brasile, in fin dei conti, pesano molto le mutate condizioni sui mercati internazionali delle materie prime. Non è un caso se tra le imprese pubbliche al centro dei problemi di corruzione c'è proprio Petrobras, la compagnia pubblica di estrazione, raffinazione ed esportazione del petrolio. Evidentemente i fasti e le orge finanziarie tipici dell'era dell'alto prezzo del petrolio, dopo lo scoppio della bolla, hanno lasciato solo scandali.
Qualche mese fa la nostra opinione sull'impatto del crollo dell'oro nero sembrava decisamente controcorrente. La maggior parte dei commentatori era impegnata a correre dietro al solito ottimismo fuori stagione, e vedeva il calo delle quotazioni come un punto di forza in più per insistere sulla tesi della ripresa dietro l'angolo.
Tuttavia, pochi giorni or sono, è arrivato il nuovo World Economic Outlook (WEO) del Fondo monetario internazionale. Il Fondo ha dedicato all'argomento buona parte della pubblicazione. E, a quanto sembra, ci riconosce almeno un po' di ragione.
Secondo le stime elaborate dal FMI gli effetti del calo dei prezzi delle materie prime sull'economia dei paesi esportatori sono notevoli. Si parla in media di un impatto negativo di un punto percentuale all'anno sulla crescita del PIL nel periodo 2015-17. L'impatto negativo è ancora più forte sulla crescita dei paesi esportatori di petrolio e materie prime energetiche. Per questi ultimi le stime del Fondo parlano di oltre due punti in meno di crescita nello stesso arco di tempo.
Peraltro, sempre il WEO del Fondo sottolinea che l'impatto negativo prodotto dal crollo delle quotazioni delle materie prime non sarà affatto passeggero, cioè di tipo esclusivamente ciclico, ma sarà in parte anche strutturale. Si farà sentire, cioè, anche sulla crescita potenziale del PIL.
Per la precisione, il rallentamento prospettico della crescita nei paesi esportatori è dovuto per due terzi alla componente ciclica. Per un terzo è imputabile alla componente strutturale, rappresentata dai minori investimenti e dalla riduzione della crescita potenziale. E gli effetti di questa seconda componente rischiano di farsi sentire a lungo, in mancanza di riforme strutturali. Il rallentamento dei paesi produttori ed esportatori di materie prime, secondo il WEO, si farà sentire anche sulla crescita mondiale, che per il 2015 è stata rivista al ribasso di 0,2 punto rispetto alla precedente previsione (da 3,3 per cento a 3,1 per cento).
Per il momento, è vero, il Fondo non accenna a possibili ripercussioni negative per l'Europa e gli USA. Ma non è da escludere che, in futuro, possano comparire anche quelle.