La crisi ucraina, il prezzo del petrolio, il vaso di Pandora
Istituzioni ed economia
La partita degli USA con la Russia per la questione ucraina sta diventando sempre più complicata da gestire. Gli avvenimenti delle ultime settimane, il crollo del prezzo del petrolio e la svalutazione del rublo, mi hanno quasi convinto che, nel tentativo di forzare la mano a Putin per costringerlo a cedere terreno, gli americani si siano dati la zappa sui piedi.
Il prezzo del petrolio sotto 60 dollari al barile non si vedeva da parecchio tempo. La quotazione del greggio, che a causa delle prospettive negative sull'economia mondiale aveva già ceduto terreno a metà di quest'anno, ha ricevuto il colpo decisivo dal vertice OPEC di novembre. I paesi produttori non sono riusciti ad accordarsi su una riduzione dell'offerta, e il mercato si è definitivamente convinto che l'era dell'alto prezzo del petrolio è giunta al termine.
Tra i paesi più colpiti dal crollo dell'oro nero ci sono la Russia, l'Iran e il Venezuela. Due avversari degli USA sullo scacchiere mondiale e una storica spina nel fianco degli americani. Che si tratti proprio di strategia ordita ai loro danni? È verosimile. In verità, l'esistenza di una trama americana, secondo molti analisti, era diventata già chiara a settembre scorso, con la visita di John Kerry in Arabia Saudita.
Il segretario di Stato, che ufficialmente incontrava i leader del Golfo per parlare di contrasto all'ISIS, in realtà pare abbia concordato con i sauditi una manovra per provocare il cedimento del prezzo del greggio, proprio per mettere in difficoltà l'economia russa e costringere Putin ad ammorbidire le proprie posizioni sull'Ucraina.
Sì. Può essere verosimile. Ma è soltanto una parte della storia. Un prezzo del petrolio così basso, infatti, mette in difficoltà tanto gli americani quanto i russi. Molte società statunitensi hanno investito nel settore dello shale oil indebitandosi in modo ingente con il sistema bancario. Importanti banche americane hanno prestato il denaro quando il prezzo del petrolio era ai massimi storici, sicure di un ampio margine rispetto ai costi di estrazione dello shale.
L'attuale prezzo di 60 dollari, invece, è largamente antieconomico e bloccherà subito gli investimenti in questo settore strategico. Inoltre, se questa situazione di mercato dovesse perdurare, le imprese esistenti comincerebbero a fallire trascinando a fondo anche le stesse banche che si sono esposte con loro in passato.
L'ipotesi più logica, secondo me, è che gli americani avessero intenzione di giocare una partita sul filo di lana. Che puntassero a vincerla mantenendo il prezzo del greggio tra gli 80 e i 90 dollari al barile per un tempo sufficiente. Erano sicuri di poter mettere alle strette lo Zar, visto che il prezzo di break even dello shale oil americano è collocato tra i 70 e gli 80 dollari al barile e quello del greggio Russo è di oltre 100 dollari.
Ma la manovra ha fatto scoppiare la bolla finanziaria e il prezzo del greggio è letteralmente crollato sotto i 60 dollari mettendo tutti in una situazione critica. Una situazione che rischia di danneggiare anche i paesi UE. La svalutazione del rublo, innescata dal crollo del prezzo del petrolio, potrebbe portare la Russia verso un default valutario con ripercussioni gravi non solo sul sistema economico e finanziario del paese, ma anche sulle banche europee più esposte (tra cui due grosse banche italiane). E in tal senso, non è certo un caso se l'ultimo vertice europeo si è nuovamente spaccato sulla decisione delle sanzioni alla Russia e l'appoggio incondizionato a Obama.
Nel complesso, le ripercussioni di un eventuale default russo sarebbero tali da assestare un duro colpo al sistema finanziario internazionale. Preso atto di ciò, non sono tanto sicuro che Putin sia disposto a rinunciare alle sue pretese su Kiev e a pietire un prestito al Fondo Monetario Internazionale per evitare il default. Ha in mano lo spauracchio di una nuova crisi finanziaria globale. Più grave della precedente. È consapevole che "se muore Sansone muoiono tutti i filistei".
Mi rimane difficile credere che chi ha ordito la trama contro Putin volesse davvero un crollo del prezzo del petrolio, il default valutario della Russia e tutte le conseguenze che si porta dietro. Se così fosse, vorrebbe dire che gli obiettivi geo-politici e di potere in gioco sono talmente importanti e prioritari da ammettere sia il sacrificio di un intero settore strategico come quello dello shale oil, sia il collasso del sistema finanziario internazionale.
Penso più semplicemente che troppo spesso il ruolo del caso nella storia viene sottovalutato. E che anche questa volta, forse, siamo solo di fronte a una manovra azzardata e a una situazione sfuggita completamente di mano.
Al momento non è ancora chiaro chi dovrà fare un passo indietro. Ma in fin dei conti poco importa. Il nostro destino probabilmente è di sbattere comunque il muso contro una nuova crisi finanziaria di portata globale.
E dopo la manovra azzardata degli americani sul prezzo del petrolio, una sola cosa cambia veramente: lo scenario del collasso potrebbe materializzarsi con congruo anticipo.