Per comprendere il pasticciaccio brutto dell'impresentabilità, in cui è naufragato quel che rimaneva dell'unità formale del PD, non bisogna partire dall'irresistibile ascesa di Renzi ai vertici del Nazareno, che è fenomeno recente e tutto sommato casuale e reversibile, ma dall'irresistibile discesa della sinistra nell'abisso del conformismo e della bigotteria moralistica, che è un fenomeno antico e "glorioso" e data da ben prima di Mani Pulite.

bindi

Se volessimo fermarne l'inizio, dovremmo forse tornare al Berlinguer post moroteo, che reagendo al game over della profezia comunista e al venir meno della sponda DC, sostituì al materialismo storico un moralismo sentenzioso e apocalittico e alla dialettica delle classi quella delle virtù. Operazione culturalmente banale, ma ideologicamente sottile, che prestava al pregiudizio anticapitalistico e alla tradizionale retorica "anti-potere" dei comunisti un motivo antropologico e quindi propulsivamente interclassistico.

Questo passaggio si è poi perfezionato nella stagione berlusconiana, con il Cav che nel nuovo schema dialettico buoni-contro-cattivi o guardie-contro-ladri sembrava fatto apposta per impersonare i vizi, con cui la sinistra non voleva avere niente a che fare, se non nei tribunali, o per confermarsi in un senso orgoglioso di superiorità ed estraneità alle porcherie del "potere", facendo così della sconfitta non una prova di fallimento, ma un carisma di onestà.

Un processo che da Berlinguer giunge fino a Grillo, all'anti-politica e all'ideologia della Casta, cioè al paradosso trasformistico del popolo e dell'élite politico-giornalistica che reclama la propria innocenza proclamando la pregiudiziale colpevolezza altrui. Tutto questo si concentra ora nella guerra civile che dilania e rischia di ammazzare, prima di Renzi, proprio il PD.

Tutta colpa di Rosy Bindi? Non proprio. La Bindi gioca come ha sempre giocato e come aveva imparato a fare fin da quando pensava di salvare la DC in Veneto – sono passati trent'anni – prendendo le parti non dei suoi rappresentanti, ma dei loro accusatori. In questa vicenda ha una sua indiscutibile coerenza, ben superiore a quella di chi difende De Luca dopo avere pascolato per anni nelle grandi praterie del dipietrismo adulto e scolarizzato e nel disordine politico del velinismo para-giudiziario e dei suoi giornali-profeti. Chi di "inquisiti" ferisce, di "impresentabili" perisce.

Quel che sta accadendo non è la resa dei conti della sinistra contro Renzi, ma della sinistra con se stessa, ben più dell'epilogo di una campagna elettorale. E Renzi non potrà cavarsela - che De Luca vinca o perda non è in fondo così importante - tirando avanti nella speranza di schiantare la resistenza del nemico, come se il nemico, questo nemico, non facesse parte del suo album di famiglia e del suo "sangue" e lo si potesse tacitare con un po' di garantismo di lotta e di anti-politica di governo.

@carmelopalma