Eramo cementif grande

Il compito del Presidente del Consiglio non è semplice sotto molteplici punti di vista, non ultimo quello correlato all’esigenza di armonizzare o anche solo di far coesistere le due forze politiche dalle quali dipende la vita, parlamentare e non solo, del nuovo esecutivo, andando oltre ovvero traducendo in atti e in proposte quello che è stato scritto nel cosiddetto contratto.

Si prenda, per esempio, il capitolo dedicato alle questioni ambientali ed in particolare il passaggio nel quale si sostiene: “È indispensabile fermare il consumo di suolo (spreco di suolo) il quale va completamente eliminato attraverso un’adeguata politica di sostegno che promuova la rigenerazione urbana. A questo proposito vanno promosse azioni di sostegno alle iniziative per rilanciare il patrimonio edilizio esistente, favorendo la rigenerazione urbana e il retrofit (riqualificazione energetica) degli edifici”.

I programmi politici non devono avere, necessariamente, il pregio di distinguere chiaramente gli obiettivi di fondo dagli strumenti, né sono chiamati a dare definizioni chiare e circostanziate tanto degli uni che degli altri, specialmente in campi come quello del governo e della regolazione delle trasformazioni urbane e territoriali nel quale anche tra i cultori della materia non circolano definizioni e convenzioni sufficientemente condivise. Ciò non significa che si possa utilizzare disinvoltamente come dei sinonimi le parole “consumo” e “spreco”, che, come ha fatto notare opportunamente Michele Governatori nella sua rubrica radiofonica settimanale su Radio Radicale non hanno un significato coincidente.

Con quella parentesi, come pure con tutto il periodo dedicato alla questione, le due forze politiche contraenti sono riuscite ad essere (mostrarsi) concordi anche su una questione rispetto alla quale un esame speditivo delle rispettive posizioni evidenzia significative divergenze. Il contratto - stando a quel che ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – “rappresenta in pieno le aspettative di cambiamento dei cittadini italiani”. Per questa ragione, nel momento in cui non è poi così chiaro se gli italiani (che hanno votato Lega e M5S) si aspettano che venga eliminato completamente il consumo oppure lo spreco del suolo, le due forze politiche di maggioranza hanno ritenuto opportuno approfittare delle sfumature che la lingua italiana offre.

Ma gli artifici necessari per aggirare questa prima questione sono poca cosa rispetto a quelli necessari per affrontare la questione concernente gli strumenti da azionare per raggiungere l’obiettivo delineato: se ed in che modo si elabora “una politica di sostegno che promuova la rigenerazione urbana”? Quali sono ed in che modo vanno individuate le iniziative per il rilancio del patrimonio edilizio esistente, da sostenere per favorire la rigenerazione urbana? Scrivere le frasi di circostanza messe nere su bianco nel cosiddetto contratto di governo non è una cosa troppo complicata anche se, come segnalato, ha reso necessario fare qualche torto alla lingua italiana ovvero cercare di approfittare delle molte sfumature che può offrire. Un diverso, e ben più oneroso sforzo, si renderà necessario per trasformare quei vaghi propositi in atti, sempre che il Presidente del Consiglio ed il Governo vorranno avventurarsi su temi, come questo, sui quali sarà difficile trovare concretamente una sintesi. Basta una speditiva ricognizione delle posizioni assunte nel corso degli anni dai due soci del governo del cambiamento.

Come è noto, quando il Governo nazionale ha varato il cosiddetto Piano Casa, la Lega faceva parte della maggioranza a Roma; e si trovava nella stessa condizione di responsabilità in molte di quelle regioni che non hanno alzato barricate rispetto all’applicazione di quella “politica” per la città e per il patrimonio edilizio esistente. Se si scorrono le cronache di quei giorni si può facilmente verificare come il famigerato Piano Casa proposto dal Governo Berlusconi, con i suoi premi volumetrici, fosse “modellato” sulla legge regionale approvata dal Veneto. In un post pubblicato allora su un sito web specialistico la posizione del movimento di Salvini era descritta in questi termini: “Per la Lega Nord il piano del Governo sarebbe un doppione rispetto al provvedimento all’esame della Commissione Ambiente alla Camera. Una proposta con tanto di detrazioni fiscali, incentivi per la diffusione di rinnovabili e certificazione energetica. Ma soprattutto con il riconoscimento di un bonus di 100 metri quadri per ogni bambino nato in Italia, da riscuotere in età adulta.”

Per il Movimento 5 Stelle - all’epoca fuori dal Parlamento e in incubazione all’interno dell’opposizione editoriale, politica e di piazza contro il Berlusconismo – il provvedimento era l’ennesima operazione costruita dai partiti per offrire ai palazzinari che finanziano le loro campagne elettorali l’opportunità di speculare e devastare il territorio e le città. Qualcuno obietterà sostenendo che erano la Lega di Bossi e Maroni ed il Movimento 5 Stelle del vaffa, e non la Lega e il Movimento di Salvini e Di Maio. Vero, ma prima di poter archiviare queste divisioni come cose appartenenti ad un passato ormai lontano - e non più attuali – è bene guardare le ben più recenti polemiche tra la Lega e le opposizioni (M5S inclusa) sulla legge regionale “Piano Casa” approvata dalla maggioranza che sostiene il Governatore della Regione Liguria Toti e impugnata davanti alla Corte dal Governo Renzi.

Altrettando istruttivo è il resoconto stenografico della seduta della Camera del 12 maggio 2016. La Camera era alle prese con la votazione finale del disegno di legge in materia di consumo di suolo. I deputati Allasia e De Rosa hanno fatto la dichiarazione finale rispettivamente per la Lega Nord e per il Movimento 5 Stelle preannunciando il voto contrario di entrambi i gruppi. La convergenza non deve ingannare. Leggendo il resoconto si apprende che per il deputato della Lega Nord “il testo arrivato in Aula - al di fuori di alcune correzioni, essenziali per evitare il blocco per il territorio - è un testo abbastanza equilibrato, che rappresenta un punto di mediazione tra l'esigenza di fermare il progressivo consumo del suolo agricolo e la necessità di evitare un blocco drastico delle costruzioni, che potrebbe causare gravi ripercussioni su un importante settore dell'economia”.

Entrando nel merito delle scelte contenute nel provvedimento aggiunge “i tempi stabiliti per l'attuazione della riforma e una progressività della riduzione del consumo del suolo lunghi abbastanza e proporzionati agli obiettivi e interventi previsti per incentivare la riqualificazione, ricostruzione e rigenerazione delle aree degradate delle nostre città, per evitare ripercussioni sull'economia e sulla restrizione della libertà dei cittadini, riuso, rigenerazione, riqualificazione delle aree degradate previo risanamento ambientale delle aree da bonificare, compensazione e perequazione urbanistica per eliminare la rigidità dei Piani di governo del territorio sono concetti che noi condividiamo. Non riteniamo, pertanto, corretta una interpretazione dei vincoli per il contenimento del consumo del suolo come limitazione del diritto di proprietà di contenuto espropriativo". Alla conclusione di un intervento, dai contenuti e dai toni non particolarmente ostili rispetto al merito del provvedimento, il deputato della Lega Nord annuncia, anche e soprattutto in omaggio alla collocazione parlamentare del suo gruppo, il voto contrario al provvedimento giudicato, in conclusione, “inefficace e inconsistente”.

Per il deputato del Movimento 5 Stelle De Rosa, invece, le cose stanno molto diversamente. Rivolgendosi ai colleghi parlamentari dice: “Con la legge sullo stop al consumo di suolo volevamo mettere un freno e bloccare la cementificazione selvaggia ed inutile del nostro Paese, ma, come al solito, trovare una soluzione accettabile con la maggioranza è stato inutile: dall'alto sono calate le modifiche e sono state inserite norme per cementificare più agevolmente le aree agricole. Siete riusciti a trasformare una legge che doveva tutelare e fermare il consumo di suolo agricolo in una legge che lo incentiva, in una legge che deregolamenta la disciplina urbanistica per intere sezioni delle nostre città, che voi definite aree di rigenerazione urbana".

Ecco chiarito, anche a beneficio dei meno addentro alla questione tra i quali possiamo inserire anche il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, come gli slogan e le parole d’ordine – a titolo esemplificativo la rigenerazione urbana richiamata ben due volte nel cosiddetto contratto - hanno bisogno, necessariamente, di essere tradotte e definite operando delle scelte. Ed è quello il momento nel quale i punti di vista sono destinati a sostanziarsi e distinguersi e, stando a quel che si può leggere, a divergere drasticamente. Il deputato De Rosa ha continuato il suo intervento senza preoccuparsi di fornire qualche esemplificazione di quello che rinfacciava alla maggioranza, alternando accuse (alla maggioranza) e rivendicazioni rispetto alle proposte del Movimento. “Abbiamo depositato decine di proposte, i nostri obiettivi ormai li sapete: tutelare il nostro territorio attraverso leggi che ne prevengano il dissesto e puniscano chi inquina e cementifica”.

Per il Presidente del Consiglio Conte non c’è solo da scegliere se si vuole fermare il consumo oppure lo spreco del suolo, bisogna intendersi anche sul modo in cui procedere nella direzione tratteggiata pur con tutte le ambiguità del caso. È necessario sostenere la rigenerazione urbana - tanto vituperata da De Rosa e dal Movimento Cinque Stelle visto che nel resoconto si dà conto degli applausi dei colleghi del gruppo – e dunque entrare nel merito di provvedimenti legislativi ed azioni amministrative che provano a definire e sostanziare quell’indicazione strategica superando l’aprioristica opposizione a provvedimenti in materia mostrata che gli eletti del Movimento hanno mostrato e mostrano anche all’interno di altre assemblee elettive. Oppure basta fare ricorso, anche su questo terreno, alle sanzioni (penali?) equiparando chi inquina a chi cementifica (costruisce).

Il finale dell’intervento del Movimento 5 Stelle non poteva che essere in crescendo: “Per voi, cari colleghi del PD e verdiniani, per tutti voi, uniti in un patto di ferro per depredare il nostro Paese, i cittadini contano zero. Credete veramente che quando il terreno franerà sotto i vostri piedi, saranno i vostri soldi o i vostri amici banchieri a salvarvi? (…) Ci avete tolto l'acqua per darla ai privati, ora cercate anche di toglierci la terra da sotto i piedi. Il Movimento 5 Stelle farà di tutto per impedirvi di portare a termine questa ennesima presa in giro (…) questo ennesimo slogan utile solo alla vostra propaganda, ma che continua a mettere a rischio la vita delle persone (…)"

Inutile attendersi qualche chiarimento nel merito. Per il deputato del Movimento 5 Stelle chiamato a seguire il provvedimento – a rigor di logica il più addentro alla materia - con la legge approvata (non dal Senato e dunque, almeno in linea di principio, da riprendere in considerazione) il suolo franerà ovvero continuerà a franare, ed i deputati della maggioranza devono stare attenti perché, come sottolinea in chiusura, “il suolo è un bene comune, è di tutti e la terra da sotto i piedi potrebbe franare prima a voi.” Non c’è certo da rimpiangere quei tempi e quelle parole. Erano i tempi nei quali i punti di riferimento in materia per il Movimento 5 Stelle erano Paolo Berdini e Tomaso Montanari. Toccava a loro dettare la linea sulla questione sul blog del Movimento, al di là ed a prescindere dalla necessità di confrontarsi con i fatti e con le norme di cui parlavano.

È un tema specifico, e forse è azzardato fare delle considerazioni di carattere generale che possono valere per l’azione di governo nel suo complesso. Si può, però, prenderlo in considerazione - anche al di là del merito della questione - per evidenziare il rischio che per il Presidente del Consiglio Conte non sarà sempre possibile trovare una sintesi. Non a caso nell’illustrazione delle linee programmatiche del Governo al Senato Giuseppe Conte si è guardato bene dallo sciogliere l’equivoco semantico e nell’enfatica descrizione delle cose che sono destinate a cambiare - che sembrava più propriamente un elenco delle cose destinate a non dividere le forze politiche che sostengono il suo Governo - non ha riservato attenzione alla questione specifica ed a quelle ambientali nel loro complesso.

Usare qualche artificio retorico e ricorrere a manipolazioni semantiche – ripetendoli in modo compulsivo come con la locuzione "governo del cambiamento" - e definire un’agenda ed un racconto essenzialmente decostruttivi nei quali far pesare prioritariamente quello che si rivendica di non essere e di non volere, piuttosto che quello che si vuole, ha consentito a Lega e Movimento 5 Stelle di “vincere” le elezioni e di “armonizzare” le rispettive agende per indicare al Quirinale il nome del Presidente del Consiglio. Una strategia di questo tipo sembra poter valere e funzionare - senza trascurare in alcun modo le conseguenze che le scelte potranno avere - anche per formare ed insediare un Governo. Come è inevitabile governeranno anche. Ma questo sarà fattibile in tutti quei casi in cui il Governo di Giuseppe Conte dovrà confrontarsi, prima di tutto ed essenzialmente, con norme e scelte dei precedenti esecutivi che le due forze politiche di maggioranza vogliono smontare ed esibire a mo’ di scalpo dei loro nemici comuni.

Ben più difficile è far valere una logica di questo tipo anche nei confronti di temi - quello preso in considerazione in questo articolo è uno dei tanti credo - rispetto ai quali per Lega e Movimento 5 Stelle sarà molto difficile trovare, in modo condiviso, una norma e/o un qualcosa da demolire e superare. Questo, sia perché l’azione dei precedenti governi su questo terreno è stata più articolata e frammentata e non mette a disposizione un totem ideologico da buttare giù – c’è semmai da decidere cosa e come fare le cose che si dicono e si ripetono nelle università, nei convegni ed anche nel dibattito politico da decenni ormai e come far funzionare effettivamente le molte “innovazioni” introdotte - sia per le profonde divergenze che le forze politiche di maggioranza dimostravano di avere, pur votando allo stesso modo, quando ciò non comportava e presupponeva, così come sarà da ora in poi, corrispondenti e comuni assunzioni di responsabilità.