blackfriday

La credibilità dei sindacati non è oggi superiore a quella dei partiti politici e la vulgata antipolitica tende ad accomunarli in un giudizio denigratorio, come se qualunque forma di intermediazione - sia essa politica e sociale - fosse di per sé parassitaria degli interessi rappresentati e imponesse dunque il passaggio forme più efficaci e pulite di rappresentanza diretta.

I sindacati, come i partiti, hanno fatto di tutto in Italia per meritare un giudizio severo e per apparire difensori di rendite economiche e di potere gabellate da interesse generale. Ma la liquidazione di partiti e sindacati in nome di un ideale di autogoverno individuale è una truffa ideologica perfino peggiore di quella perpetrata in decenni di malgoverno partitocratico e (copyright Pannella) “sindacatocratico”. Si è persa perfino la nozione elementare che l’organizzazione collettiva degli interessi e delle idee non è, di per sé, un cascame comunista o corporativo, ma un fattore di coesione sociale e di tutela di equilibri politici stabili e funzionanti. Una società in cui nessuno rappresenta più nessuno e niente rappresenta più nulla è una società in cui proprio la tutela dei diritti individuali è più complicata e l’invidia sociale (non solo verso l’alto, ma paradossalmente pure verso il basso) è destinata a dilagare come sentimento politico vincente. Il tutti-contro-tutti non tutela l’individuo, neppure il più forte, ma comporta la massificazione dell’odio e del disprezzo, nella sostanziale indistinzione tra meriti e torti, tra richieste giustificate e richieste immotivate.

Il risultato è che si è giunti al paradosso che anche qualunque iniziativa sindacale, di qualunque tipo appaia uguale a qualunque altra. Oggi, ad esempio, lo sciopero organizzato per il Black Friday dai sindacati dei dipendenti Amazon è burocraticamente difeso o liquidatoriamente vilipeso come un qualunque sciopero ponte dei dipendenti Atac, che a Roma, secondo una tradizione consolidata, cade sempre di venerdì per allungare il week end (o in concomitanza delle partite della Nazionale) e inanella pretesti risibili e vergognosi.

Invece lo sciopero dei dipendenti Amazon è una normale negoziazione salariale, per ottenere un aumento di cui i dipendenti non hanno, come si usa dire, “diritto” – perché i loro diritti, in base al contratto collettivo nazionale, sono garantiti da Amazon - ma un’aspettativa giustificata, visti i dati di produttività e i risultati di impresa. Peraltro, al di là dei toni tromboneschi e millenaristi che i sindacati usano anche quando potrebbero risparmiarseli, avendo ragioni solide, l’idea che il salario possa crescere se a crescere è anche la flessibilità organizzativa del lavoro e la sua conversione ad obiettivi di risultato non appartiene affatto all’anacronistica dottrina del salario “variabile indipendente”. Se i sindacalisti d’antan non avessero affogato questa trattativa in una marea di scemenze contro la web-economy e la nuova logica dello sfruttamento operaio, questo sarebbe quanto alla sostanza uno sciopero molto “contemporaneo”, perché dimostrerebbe che la negoziazione salariale è una trattativa economica sul prezzo della merce-lavoro, non un dialogo o un processo politico-morale, ed è una parte essenziale del processo di mercato.

È per questo che descrivere gli scioperanti come dei sabotatori del libero mercato è un errore uguale e contrario a quello di chi descrive Amazon come un pericolo per la democrazia e la libertà dei lavoratori.

@carmelopalma