Grillo e Berlusconi, similis cum similibus
Editoriale
"Le rivelazioni di oggi che riguardano la regia di Napolitano nelle vicende legate alla caduta di Berlusconi non sono per noi una sorpresa... Abbiamo ipotizzato una regia generale del presidente Napolitano nelle vicende politiche più rilevanti degli ultimi anni, compresa l'imposizione di due governi che non corrispondo alla volontà popolare ma corrispondono alla volontà dei poteri economico-finanziari europei. La famigerata lettera dall'Europa, di cui ancora si cercano i veri autori, ora appare evidente come fosse l'ultimo tassello di quel disegno che prevedeva la sostituzione di Berlusconi con Monti."
Così ieri Vito Crimi, minzolineggiando come neppure il Minzolini originale sarebbe riuscito a fare, ha garantito la sponda grillina alla baraonda che la "rivelazione" del Corriere ha puntualmente innescato, offrendo al partito berlusconiano l'occasione dello scandalo e la dimostrazione dell'offesa patita dal Capo dello Stato. Le convergenze parallele tra Grillo e Berlusconi costituiscono oggettivamente una delle coordinate più stabili della politica italiana. D'altra parte, le continue rinascite del Caimano e l'irresistibile successo del capopopolo genovese costituiscono due manifestazioni della stessa malattia autoimmune della politica italiana, due forme, distinte, ma non così diverse, della stessa sindrome post-democratica costruita sull'opposizione tra "consenso" e "governo" e tra "popolo" e "politica".
Non c'è dunque da stupirsi che entrambi non si preoccupino di addebitare al Capo dello Stato come colpa o perfino come delitto l'esercizio di una prerogativa costituzionale. Similis cum similibus. Sia chiaro, la "rivelazione" non rivela nulla che già non si conoscesse e di cui già nell'estate del 2011 i giornali (compreso il Corriere) scrivevano apertamente, indicando in Monti il più probabile candidato per un esecutivo di tregua con Bruxelles e registrando il disappunto e la resistenza del Cav. per un'ipotesi che, secondo la vulgata berlusconiana, puzzava comunque di ribaltone. A fare il nome di Monti (nelle interviste pubblicate sui giornali, non nei sussurri da transatlantico) erano gli esponenti del Pd, dei partiti del Terzo Polo e perfino del PdL.
I giornali berlusconiani, mentre il Cav. ingoiava all'estero i diktat europei, salvo poi risputarli in patria recriminando contro il complotto germanico, davano intanto fiato al sospetto di una cospirazione anti-italiana. Ciò non toglie che Berlusconi, non deposto con la forza da un colonnello-corazziere inviato dal Colle, ma dimessosi per aver perso quel che rimaneva della sua maggioranza alla Camera, dopo poche settimane scegliesse di sostenere il governo tecnico guidato dall'uomo di Bruxelles, per poi dissotterrare un anno dopo l'ascia di guerra della resistenza allo straniero. La risposta al Corriere del Presidente Napolitano rimette in ordine i fatti, le date e le ragioni della crisi politica interna che segnò la fine del governo Berlusconi IV e che le apologie recriminatorie del Cav. riscrivono nei termini di una macchinazione esterna, teleguidata da Bruxelles, Francoforte e magari Washington.
Se però un fatto risaputo ridiventa una "notizia" e addirittura uno "scandalo", per cui la stampa può gonfiare il petto di orgoglio e la politica di indignazione, dando così modo agli scrivani dell'enciclopedia sovietica berlusconiana di riscrivere la storia secondo le verità di partito, il meno che si possa dire è che a essere a rischio oggi, più del credito o dell'onorabilità di Napolitano, è la tenuta dell'accordo "patriottico" tra Renzi e il Cav. Non è escluso che Berlusconi abbia pensato che un patto maggioritario con il segretario del Pd avrebbe potuto rimetterlo politicamente in gioco, ma non c'è dubbio che guadagnerebbe assai più a precipitare il Paese al voto in una crisi istituzionale senza precedenti, con due partiti, che rappresentano insieme quasi un italiano su due, alleati per far fuori il Capo dello Stato e per vendicarsi dei suoi sgarbi.
Ma la logica del tanto peggio tanto meglio, a cui Berlusconi indulge, almeno quanto Grillo, potrebbe avere effetti inintenzionali decisamente sgraditi al padrone di Dudù. Se Napolitano toglie il disturbo, insolentito oltre il limite consentito dall'età e dall'onestà della sua milizia presidenziale, come minimo arriva Prodi, mica Letta zio. E in quel caso Grillo non mancherebbe di tirare il calcio dell'asino al suo gemello diverso.