Perché il trionfo degli aguzzini di Hamas diventa la gloria dei palestinesi oppressi?
Diritto e libertà

La spettacolarizzazione del rilascio degli ostaggi, scortati da tagliagole armati, in mezzo a due ali di una folla – sia detto absit iniuria verbis, in senso del tutto avalutativo – sottocivilizzata, come se si trattasse di trofei da esibire con orgoglio antioccidentalista… ecco, tutto questo non solo non è incompatibile con la retorica della "asimmetria" tra Stato israeliano e strutture paramilitari e terroristiche islamiste, ma è complementare al mito buonselvaggista sul quale è stata costruita l'intera narrazione della questione israelo-palestinese a partire dal 7 ottobre, venduto come incursione di natura resistenziale e anticolonialista, anziché pogromica e antioccidentalista.
Influencer dell'umanitarismo a buon mercato, artisti e morti di fama di varia estrazione dediti al posizionamento perfino sul palco di Sanremo, accademici macchiettistici e vanitosi etc. di fronte a quelle immagini non avvertono l'urgenza di… "giustificare" positivisticamente quello sfoggio di crudeltà (tipo: «è vero, è pura barbarie: ma è comprensibile che si comportino così dopo mesi di guerra, eppoi la propaganda fondamentalista-nazionalista ha le sue ragioni che la ragione non conosce» e cose così); avvertono semmai l'urgenza di manifestare perfino ammirazione per il Davide – che Davide non è, visto che tale non può definirsi il proxy di uno Stato pre-nucleare e coccolato dalle Nazioni Unite – che ha segregato per più di un anno le figlie di Golia e adesso le costringe a una sorta di walk of shame.
Nel trionfalismo degli aguzzini, dunque, non vedono una orrifica manifestazione del male, ma la commovente gloria degli oppressi finalmente fattisi oppressori – salvo puntualizzare, con abbondanti dosi di negazionismo di atti spietati e non negabili in quanto documentati dalle GoPro di chi li ha perpetrati, che la loro è un'oppressione gentile, perché i buonselvaggisti, fingendo di respingere una visione banalmente manichea dello scontro fra civiltà in realtà la capovolgono, la banalizzano ulteriormente e khomeinisticamente nell'opposizione tra il grande e il piccolo Satana colonialisti e spietati (USA e Israele) da un lato e i romantici guerriglieri liberatori muniti di sassi intifadici dall'altro.
Che poi fra gli ammiratori più o meno occulti di Hamas ci siano anche le femministe radicali – quelle che «ti credo sorella» e poi di fronte alla tuta di una ragazza israeliana in catene insanguinata all'altezza delle parti intime non si sentono di escludere che possa trattarsi di ketchup – non deve affatto sorprendere: nella morra cinese delle oppressioni intersezionali l'oppressione colonialista batte quella patriarcale.
In questi giorni della memoria contraffatta è stata copiata-e-incollata in ogni dove la citazione di Benigni/Guido Orefice che ne La vita è bella prova a occultare al figlio le discriminazioni antisemite, «vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei», dicendogli che dall'indomani nella loro cartolibreria non potranno più entrare ragni e Visigoti, ognuno ha le proprie idiosincrasie. Ottant'anni dopo, ai gay pride e ai cortei del 25 aprile i cani sono ammessi, ebrei e brigata ebraica no, mentre una senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz è sotto scorta perché minacciata dai "buoni" (e dunque la cosa passa in sordina, perché l'unico antisemitismo censurabile è quello nero…), "buoni" per i quali l'unico ebreo rispettabile è quello che fa professione di fede anti-israeliana e sposa convintamente il loro uso polemico e propagandistico della nozione di genocidio.
Ottant'anni dopo, le pareti delle sinagoghe vengono vandalizzate, gli studenti della Ivy League giocano a fare i cripto-nazisti per poi lavarsi la coscienza tramite la reductio ad Hitlerum del tandem Trump-Musk – e La vita è bella continua ad andare in onda commovendo tutti (come ha lasciato intendere Assia Neumann Dayan in un memorabile pezzo su La Stampa titolato «La Shoah spiegata a mio figlio», ai ragazzini bisognerebbe più che altro far vedere Bastardi senza gloria).
