Palestina, riconoscere cosa?
Editoriale
L'attentato di Gerusalemme dal punto di vista militare potrebbe segnare per Israele il passaggio dall'accerchiamento esterno a quello interno, in quell'isolamento che per lo stato ebraico ormai non è neppure più politico, ma esistenziale, con gli amici (gli Stati Uniti e l'Ue) che si ostinano a cercare una soluzione per problema che di fatto non c'è più - quello dell'indipendenza nazionale palestinese - e a rimuovere, per evidente assenza di soluzioni, il problema che c'è, quello dell'espansionismo "strategico" dell'odio religioso, contro Israele, ma non solo contro Israele.
Oggi la causa palestinese è ancora meno "palestinese" di quanto non lo fosse dopo il 1948, quando divenne lo stendardo e l'alibi del nazionalismo arabo contro "l'entità sionista". La Palestina non potrebbe più essere uno stato, né tantomeno una nazione, neppure se tutti gli stati del mondo, compreso Israele, decidessero di riconoscerla. Tutti i possibili compromessi per giungere al "due popoli, due stati" presuppongono una possibile unità palestinese attorno a un possibile compromesso.
Invece oggi in Palestina, qualunque unità e compromesso diversi da quelli compatibili con la strategia di Hamas sembrano, per definizione, impossibili, perché la strategia di Hamas esclude qualunque unità e compromesso con chi decidesse, in qualunque modo, di "fare pace" con Israele. Hamas non vuole costringere Israele a cedere, ma a morire. L'islamizzazione politica della questione palestinese è partita dalla Gaza auto-sgomberata da Sharon.
Continuare a ritenere che la questione della pace e della guerra ruoti attorno alla questione degli insediamenti e, in generale, alla "terra" - come ripetono molte cancellerie occidentali e tutti quei parlamenti che invocano il riconoscimento preventivo dello stato palestinese - è nella migliore delle ipotesi un wishful thinking. Continuare a addebitare l'escalation terrorista alle speranze frustrate di un popolo piegato da decenni di cattività politica elude la banale circostanza che la marea montante dell'islamismo politico non è un fenomeno "reattivo" e appartiene all'ordine delle cause e non delle conseguenze del disordine globale del medio-oriente e dell'irrisolvibilità delle questione israelo-palestinese.