urlare grande

Mi rendo conto che straparlare di massimi principi, di massimi diritti e di massimi doveri sia supremamente eccitante, a misura dell’approssimazione e della superficialità del discorso. I bar e i salotti dei talk show sono non a caso i luoghi in cui i massimi sistemi calcistici, epidemiologici e etico-politici vanno per la maggiore e animano discussioni accanite e spesso sanguinose; però, fatto il pieno delle dispute estive su obbligo e libertà vaccinale, tra poliziottismo pro-vax e il resistentismo no-vax, bisognerebbe tornare a discutere delle cose per come sono e non per come piacerebbe che apparissero o che non apparissero a quanti menano le danze delle discussioni del circuito mediatico-politico.

Le cose sono messe benissimo rispetto all’andamento della campagna vaccinale, con sacche di resistenza limitate, attivate proprio dalla polarizzazione dello scontro e mediaticamente sovrarappresentate. Il 90% degli over 60 (percentuale che sale al 95% circa tra gli over 80) è vaccinato. L’80% della popolazione sopra i 20 anni ha ricevuto almeno una dose (quasi tutti entrambe le dosi). Dei sei milioni e mezzo di italiani tra i 30 e i 60 anni che non sono vaccinati però sappiamo qualcosa dalle rilevazioni demoscopiche (quanti sono no-vax, quanti sono solo impauriti o confusi) e quasi nulla dai servizi di sanità pubblica, perché il sistema di vaccinazione è volontario e un modello di tracciamento/avvicinamento/persuasione dei riluttanti non pare essere stato implementato in modo organico.

Vanno meno bene le cose che stanno a valle della campagna vaccinale. Il tasso di letalità degli infetti in Italia continua a essere sensibilmente superiore a quello degli altri grandi Paesi dell’Europa e del Nord America, con un rapporto che non sembra essere giustificato da ragioni puramente demografiche. Su servizi e trasporti pubblici e scuola vedremo che succederà con la ripartenza di settembre, ma l’impressione è che non sia cambiato molto, in termini di Covid compliance.

Inoltre – e mi sembra il dato più allarmante, ovviamente quasi assente nelle discussioni pubbliche – ci sono seri problemi sulla durata dell’immunizzazione vaccinale. Tra luglio e agosto i contagi tra sanitari (medici e infermieri, vaccinatisi a inizio 2021) sono aumentati di oltre sei volte, passando da meno di trecento a quasi duemila casi al mese, anche se la protezione sugli effetti gravi della malattia sembra perdurare (nessun morto tra i contagiati). In ogni caso i dodici mesi del Green Pass suonano già decisamente ottimistici e la somministrazione della terza dose, cioè la prima dose della seconda campagna vaccinale, dovrà essere avviata presumibilmente durante la conclusione della prima.

Anche lasciando da parte il resto del sistema sanitario – quello “no Covid” – che da febbraio/marzo a oggi non è affatto tornato alla normalità, malgrado la ridotta pressione dei pazienti Covid sugli ospedali, oggi la scommessa è quella di rinnovare nella seconda campagna vaccinale i risultati della prima (gestione Figliolo, non Arcuri), di rettificare la comunicazione troppo ottimistica “con i vaccini ne usciremo fuori” di febbraio-marzo con una più realistica “grazie ai vaccini possiamo convivere con il Covid” e di conservare un livello di adesione non solo ai vaccini, ma all’uso dei dispositivi di protezione e del distanziamento personale abbastanza alto (cosa complicata, vista la cronicizzazione della pandemia, la tendenza spontanea ad abbassare la guardia di fronte a un rischio ripetuto e la prevalenza per la grande parte della popolazione di rischi innanzitutto non sanitari).

Questa impresa, a cui la struttura commissariale sembra preparata, il servizio sanitario nazionale molto meno e la comunicazione governativa proprio per niente esige di usare in modo razionale il sistema di incentivi e disincentivi, non solo economici, ad atteggiamenti virtuosi (cioè funzionalmente utili, non moralmente buoni) da parte dei cittadini e delle strutture pubbliche e di riconoscere che i comportamenti sociali in un contesto pandemico hanno una naturale irrazionalità rispetto all’obiettivo esclusivo di ridurre i contagi e le morti, perché rispondono anche a interessi e valori diversi – all’autonomia economica, alla libertà personale, alla coerenza con le proprie convinzioni… – e quindi vanno governati con modalità che non riducano questa complessità (che ha risvolti etico-giuridici, oltre che economico-sociali tutt’altro che irrilevanti) a un mero difetto di sistema da correggere secondo un canone sanitariamente corretto.

In questo insopprimibile pluralismo sociale ci sono anche quelli che credono alle favole, al complotto giudo-pluto-farmaceutico e ad altre scemenze che animano la resistenza No-Vax, come ci sono quelli che credono di diventare ricchi giocando al lotto, di tutelare la salute dei bambini ingozzandoli di merendine senza olio di palma e di trovare lavoro ai figli mandando anticipatamente in pensione i padri. Sono tutte credenze che rispondono a bias molto comuni e che sono tenaci, anche se e quando ne sono dimostrati falsi i presupposti: anzi, in quel caso ancora di più. Evitare dunque di usare contro i no vax e i boh vax lo sfollagente, le manette e il TSO non comporta una implicita legittimazione delle loro ragioni. Piuttosto, è un realistico riconoscimento di un principio di efficienza e di opportunità nel fare ciò che è utile rispetto al fine perseguito, piuttosto che ciò che è giusto rispetto al valore proclamato, prescindendo del tutto dalle conseguenze. Per la serie: “Fiat iustitia et pereat mundus”.

Avere fatto per l'intera estate dell’obbligo vaccinale, diretto e indiretto, assoluto o relativo, l’alfa e l’omega delle chiacchiere politico-giornalistiche anti-Covid e una sorta di dogma civile, morale e religioso è stato due volte sbagliato: in primo luogo perché è falso che in Italia, anche nel confronto con altri stati, la campagna vaccinale abbia rallentato prima del green pass e della minaccia della sua estensione nella forma (semplicemente impossibile) dell’obbligo vaccinale generalizzato e abbia poi accelerato solo in seguito; in secondo luogo perché se è possibile e ovviamente legittimo adottare misure straordinarie e coercitive a fronte di un rischio grave e reale (ad esempio un alto livello di diffusione del virus e un basso livello di adesione al vaccino da parte della popolazione) non lo è affatto farlo a fronte di un rischio puramente potenziale e lontano dal verificarsi. Il fatto che se pochi si vaccinassero il Covid prenderebbe il sopravvento non è una ragione sufficiente per imporre la vaccinazione di tutti, se sono in realtà pochi o pochissimi quelli che non si vaccinano. Una misura eccezionale è proporzionata a un rischio eccezionale se questo è reale, non ipotetico, e tutte le scelte, anche quelle moralmente encomiabili, possono avere effetti collaterali catastrofici, cioè neppure lontanamente compensati dagli effetti positivi procurati.

Inoltre, la discussione in corso sull’obbligo vaccinale nel Bar Sport del circuito politico-mediatico nazionale continua a sottovalutare e perfino a esecrare il valore di principi di diritto (a partire a quello di accettare o rifiutare le cure mediche) dietro cui si trincerano i no-vax, come se il significato dei primi venisse reso irrilevante dalla irrilevanza e dalla mediocrità degli argomenti dei secondi. Ormai al vertice delle istituzioni si discute perfino, come se si trattasse di una misura anche solo astrattamente coerente con il quadro di diritto di un servizio sanitario universalistico, dell’ipotesi di addebitare le cure sanitarie ai no-Vax “colpevoli” di essersi ammalati. La scemenza e la tentazione di fare voti con il Covid non alberga solo nelle trincee digitali no-vax.

Il paradosso però è che la discussione è tanto più accesa quanto più le scelte concrete in ordine al green pass dell’esecutivo continuano nei fatti a essere prudenti e finalizzate a incentivare le vaccinazioni chiudendo canali di svago e di socializzazione per i non vaccinati, ma non impedendo l’esercizio di diritti fondamentali: di lavoro, di movimento, di accesso ai servizi essenziali. Ci sono poche limitate eccezioni. Ma sono appunto eccezioni (scuola, servizi di cura e assistenza), che al momento hanno motivazioni solide.

Quindi continuare a discutere come se l'ideale fosse che si stabilisca per legge che nessun vaccinato possa andare sui bus o al supermercato, né recarsi al lavoro significa parlare letteralmente di niente, cioè di qualcosa che non avverrà mai, non perché sia ingiusto, ma perché semplicemente sarebbe impossibile farlo osservare senza fare danni peggiori di quelli evitati e perché nessun governo serio del mondo (neppure quello italiano) ci sta seriamente pensando.