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Dopo la svolta liberale e europeista, Di Maio ha pure fatto la svolta garantista con una lettera di scuse all’ex sindaco di Lodi, Uggetti, arrestato a furor di popolo grillino (e leghista), impalato in ceppi alla colpa presunta dalle piazze grilline (e leghiste) e assolto dopo 5 anni da un’accusa fondata sul niente, ma sufficiente – come tutte le accuse e a maggiore ragione gli arresti – per chiudere, prima e a prescindere da qualunque sentenza, esperienze di governo nazionali e locali e la vita – se va bene, solo quella politica – di assessori, sindaci, governatori, parlamentari e ministri.

Il plauso quasi unanime che il mea culpa di Di Maio ha riscosso non è solo ingiustificato, ma è fondato sulla stessa ipocrisia di cui il mazziere della banda post-grillina ha dato, proprio su Uggetti, una così squallida e prevedibile esibizione. Perché Di Maio ha fatto un mea culpa meramente e doppiamente “stilistico”. Con una sorta di inchino al cattivo riabilitato per essere “riuscito dopo anni a dimostrare la sua innocenza” (sic) e con una censura del se stesso di un tempo, che istigava le piazze alla gogna in “modalità disdicevoli”. Sulla sostanza, invece nessun passo indietro: “Non vorrei essere frainteso, io sono fortemente convinto… che la cosiddetta questione morale non possa essere sacrificata sull'altare di un ‘cieco’ garantismo”. E invece è subito partita, con poche eccezioni, la gara a fraintendere questa mossa come una svolta garantista.

D’altra parte, la strategia post-grillina, che Di Maio incarna con una perfezione ineguagliata (altro che Conte) è quella più coerente con il legato di Casaleggio sr, per il quale il M5S doveva essere un contenitore programmaticamente vuoto e quindi in grado di accogliere tutto e il suo contrario e di fermentare un blob, capace di replicarsi e rigenerarsi con una potenza adattiva straordinaria, legata proprio all’assenza di qualunque identità definita e di qualunque compromissione ideologica. Visto che in Italia convivono una propensione culturale alla forca e un’etica dell’indignazione permanente, cui gli errori giudiziari danno alimento, il politico casaleggiano perfetto è quello che è capace di fare il boia quando il cattivo va in galera e il pentito o addirittura l’indignato quando fortunosamente ne esce innocente. E ovviamente di rappresentare il partito dei giudici e il partito anti-magistratopoli. Il partito del fine processo mai e il partito schifato dei processi che non finiscono mai.

Possiamo stare certi che ritroveremo Di Maio – magari in grisaglia e meno scalmanato – a chiedere la testa del prossimo Uggetti e in prima fila a rendergli onore quando e se il poveraccio avrà “dimostrato la sua innocenza”. Il garantismo non c’entra niente, in tutto ciò, perché quella garantista (se così vogliamo definire la cultura e il rispetto dello stato di diritto) non è una maschera tra le tante, ma l’alternativa culturale a questa perenne mascherata, a questo carnevale della cattiva coscienza individuale e collettiva, di popolo e di élite, di piazza e di Palazzo.