I misrabili big 

C’è nulla di più tragico di chi rimane così costantemente fedele ai propri pregiudizi da rifiutare di accettare l’evidenza degli errori, fino al punto di preferire la morte al pentimento?

L’altro giorno, guardando il film Les Misérables e riflettendo (di nuovo) sulla figura dell’ispettore Javert, un’associazione di idee mi ha attraversato la mente: la storia politica di Matteo Salvini assomiglia un po’ a quella del personaggio che perseguita Jean Valjean dall’inizio alla fine del romanzo.
Non del tutto, ovviamente. E non perché l’attuale leader della Lega non abbia mai dato prova di essere un vero poliziotto (nonostante le molte divise indossate, la difesa di alcuni indifendibili poi condannati, il giro sulla moto d’acqua e tante altre scene). Non gli assomiglia del tutto per una ragione più profonda.

Persino Victor Hugo concesse alla propria creatura un momento di comportamento coerente: l’ispettore infatti porge le proprie scuse a Monsieur Madeleine quando pensa di aver commesso un errore nel riconoscere in lui l'ex galeotto, arrivando a offrire la propria destituzione. Matteo Salvini è, per sua fortuna, di un'altra categoria rispetto al poliziotto Javert: altrimenti la lista delle scuse da fare per i propri errori lo impegnerebbe forse a tal punto da non consentirgli di fare altro per parecchio tempo. Basterebbero quelle al diciassettenne bolognese accusato a favor di telecamera di essere uno spacciatore, che aveva promesso e che non ha mai fatto (se le avesse fatte, me ne scuso: non hanno purtroppo avuto la stessa evidenza del primo gesto).

Anche dopo la conclusione del Consiglio Europeo, a suo modo storico per l’apertura a sviluppi che fino a pochi mesi fa sembravano impossibili da raggiungere nel prossimo decennio, l’ex comunista padano si è schiarito la gola e come fosse in un musical ha tuonato il proprio ritornello, in fiero controcanto con quello di tutti gli altri (Giorgia Meloni inclusa). A rovinargli lo spettacolo di unico sovranista monetario sulla scena è arrivato Gianluigi Paragone, fondatore di un partito destinato magari a rosicchiargli ancora qualche voto, gracchiando anche lui “Usciamo dall’Euro!”: magari conosce anche altre parole d’ordine, ma non mi stupirei se fossero queste le uniche che dirà finché si presenterà alle elezioni (e forse dopo). In ogni caso a Salvini non piacciono i duetti, preferisce l'assolo.

Perciò l’ispettore, o meglio il capitano, è tornato al suo cavallo di battaglia, su cui non teme rivali: la xenofobia, che letteralmente è la paura dello straniero e dell’ospite. Come Javert ce l’aveva con Valjean a dispetto di tutte le occasioni in cui quest’ultimo dava prova di essere profondamente cambiato, così Salvini attacca costantemente chi è diverso da lui e da quel che rappresenta, nonostante l'evidente impossibilità di fare di tutta l’erba un fascio (no, non quel fascio).

Rispondiamo dunque alla domanda iniziale: c’è qualcosa di più tragico di chi è legato ai propri errori con questa pervicacia, anche mentre i sondaggi lo danno sempre più in discesa? Sì, purtroppo c’è. Sono i milioni di elettori italiani che ancora sembrano intenzionati a dargli fiducia: un popolo di santi, di poeti e di navigatori, ma soprattutto di tifosi dell’ispettore Javert. Al cui epigono auguro, sinceramente, una fine diversa da quella che tocca al personaggio del capolavoro di Victor Hugo.