Di Matteo, Bonafede e la cultura del 'sospetto anticamera della verità'
Diritto e libertà
Ieri, durante una trasmissione esemplare del degrado dell’informazione in Italia, Non è l'Arena, è andata in onda una scenetta esemplare del degrado dell’ideologia dell’antimafia “professionistica”.
Il nume tutelare della giustizia combattente, dottor Nino Di Matteo, membro del CSM, ha accusato il nume tutelato e prestanome della compagnia, nonché Ministro della Giustizia, avvocato Alfonso Bonafede di non averlo intronato nel 2018 alla testa del Dap, ritirando una precedente offerta, dopo la notizia che alcuni mammasantissima detenuti avversavano la sua nomina. Non ha detto proprio “perché”, ha detto “dopo” – perché come è noto non sempre post hoc è propter hoc, però…– per poi aggiungere maliziosamente: “Ci aveva ripensato o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci…”.
Un mascariamento in piena regola, una delegittimazione operata non affermando un fatto – Bonafede ha obbedito alla mafia – ma diffondendo un sospetto – Bonafede potrebbe avere obbedito alla mafia – che a certe latitudini ideologiche è sempre l’anticamera della verità, proprio perché ha la forza di una scottante verosimiglianza, che è un più adattabile e plastico surrogato della verità.
È esattamente lo schema per cui si è deciso che verosimilmente vi fosse stata una “trattativa Stato Mafia”, poiché un cambio alla guida del Dap e una decisione del Ministro Conso di non rinnovare il regime del carcere duro a alcuni mafiosi anticipatamente dimostrava la verità che il famoso “papello” si sarebbe poi semplicemente limitato anni dopo a suffragare. Visto che in Italia si fanno così i processi di mafia, è perfettamente logico che si svolgano così anche i processi di antimafia. Così, dalla stessa compagnia di giro, era stato processato e condannato anche Giovanni Falcone, accusato di tenere chiusi nei cassetti le prove di delitti mafiosi e di “delegittimare” l’antimafia per un vaglio troppo severo delle dichiarazioni dei pentiti.
Tra i professionisti dell’antimafia, secondo l’ermeneutica di Di Matteo potrebbe fare capolino (horresco referens) una “trattativa mafia Bonafede” e ben si comprende come il Ministro della Giustizia si dichiari esterrefatto dell’insinuazione. Non perché ne sia sorpreso , essendo un procedimento che conosce bene, proprio del mondo e della cultura che è la sua e che rappresenta nelle istituzioni, ma perché ne è ovviamente atterrito, in quanto sa che quella tagliola – quella del sospetto anticamera della verità – non lascia scampo a chi ne finisca catturato, a meno di non ribaltare il gioco, di rifiutare quella logica e di tornare a una giustizia secondo diritto e secondo ragione. Che è cosa che Bonafede ovviamente non può fare.
La conseguenza di questa vicenda sarà ovviamente una gara a rendere più indegne e disumane le condizioni delle galere e più affannosa la corsa a negare fin che si può, e anche oltre al possibile, i diritti umani dei detenuti e l’unico interesse del Ministro Bonafede diventerà quello di far crepare più mafiosi possibili in galera – non in ospedale o ai domiciliari – per dimostrare di non essere un pupazzo nelle mani dei mafiosi che odiano Di Matteo.