foto Palermo grande

La vicenda che ha coinvolto la professoressa di Palermo sospesa per quindici giorni per non avere ‘vigilato’ sul lavoro dei propri studenti che in un power point avevano fatto degli accostamenti tra politiche antisemite degli anni Trenta e Shoah, da un lato, e il decreto sicurezza e la politica dei porti chiusi di Salvini, dall’altro, è ormai nota.

Ciò che va ricordato è comunque che la storia comincia con un tweet di un estremista di destra che afferma il falso, ovvero che la professoressa «avrebbe obbligato dei 14enni a dire che Salvini è come Hitler perché stermina i migranti», dove falsa è sia l’affermazione che la professoressa avrebbe «obbligato gli studenti», che invece avevano preparato il loro intervento autonomamente, sia l’affermazione che nella relazione si sosterrebbe che Salvini stermina i migranti. Basta guardare il video.

Altro fatto da rammentare è che il sottosegretario per i beni e le attività culturali, Lucia Borgonzoni - emiliana come i consiglieri regionali suoi compagni di partito, che qualche settimana fa hanno presentato una interrogazione contro l’utilizzo all’Università di Bologna di un libro sulla Lega a loro non gradito - prima ancora di aver visionato il video e controllato la veridicità della notizia si è buttata a capofitto sulla succulenta polemica auspicando, nel caso quanto riportato dall’autore del tweet si fosse rivelato vero, ma già anticipando che non ci fossero molte speranze che così non fosse, una cacciata «con ignominia» della professoressa e la sua interdizione a vita dall’insegnamento. Nientemeno.

Gli accostamenti tra i due momenti storici sono stati fatti. Gli studenti hanno individuato specifiche politiche e avvenimenti di ieri e di oggi suggerendo analogie. In modo non banale. Nulla di simile, tanto per intenderci, alle grottesche affermazioni dell’autrice del libro-intervista a Matteo Salvini Chiara Giannini (nuova eroina del libero pensiero) che ha recentemente accostato la sua esclusione dal Salone del libro di Torino alle «restrizioni della libertà» (sic!) subite dai sopravvissuti ai campi di concentramento (che poi si chiamerebbero campi di sterminio, ma non vogliamo pretendere troppo). Affermazione che pur enorme, inqualificabile, ridicola se non fosse tragica, non ha sollevato grandi reazioni né tra i difensori della libertà di espressione senza se e senza ma né dalle parti della destra, leghista e non.

Ciò detto, quei paralleli proposti nel lavoro degli studenti non reggono sul piano storico. La comparazione è fuorviante da diversi punti di vista: il contesto, il modo in cui si sono svolti i fatti (a partire dalle caratteristiche della macchina dello sterminio degli ebrei), le intenzioni dei protagonisti, le conseguenze prodotte su chi ha subito le politiche, anche l’apparato ideologico sottostante le decisioni. Se mi fossi trovata al posto della professoressa avrei spiegato tutto questo agli studenti. Avrei consigliato loro di lasciare da parte la Shoah, per diversi motivi. Innanzitutto perché la Storia va trattata con rispetto e non reinterpretata alla luce della cronaca.

In secondo luogo perché paragonandola troppo sbrigativamente agli errori e agli orrori che ci circondano la si banalizza (avevo già sostenuto questa tesi un paio di mesi fa). Inoltre, perché la «reductio ad Hitlerum» di fatto banalizza anche le tesi che si vogliono sostenere riguardo a fatti recenti o contemporanei. Se si percepisce l’enormità della comparazione, allora le argomentazioni critiche su quanto accade oggi perdono di forza, anche se fondate. E le argomentazioni critiche, attente, intelligenti, in quel lavoro fatto da giovani studenti non mancavano certo.

Avrei consigliato loro di fare tesoro di ciò che sanno, di farsi guidare dalla consapevolezza che deriva dalla conoscenza della storia, sempre però mantenendosi vigili sulle differenze e sulle proporzioni. Non avrei certo imposto loro di tacitare coscienza e intelligenza di fronte a quanto accade nel mondo circostante, e nemmeno di tacitare pensiero e coscienza solo perché ciò potrebbe portare a mettere in discussione i comportamenti di chi detiene il potere. A scuola, come all’Università, si deve sviluppare il pensiero critico, non il conformismo del gregge. Forse la scelta della professoressa è stata diversa. Forse non ha voluto mettere in discussione il modo in cui i suoi ragazzi hanno deciso di trattare la questione. Avrei fatto diversamente, ma quella è stata la sua legittima scelta di insegnante. Gli studenti non hanno sostenuto che Salvini picchia le vecchiette, ruba nelle mense dei poveri, non paga le tasse. Hanno fornito una interpretazione della sua azione pubblica, peraltro con linguaggio corretto e mai sopra le righe e certamente, in alcuni passaggi, sollevando legittimi interrogativi. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». In quella classe, quel giorno, ci si è espressi tutelati da quella libertà garantita dall’articolo 33 della Costituzione.

La sospensione, le indagini, la Digos, tutto questo lede quella libertà. L’intervento dello zelante provveditore di Palermo che ha sospeso l’insegnante lascia attoniti. Ogni giorno nelle classi scolastiche e universitarie si discute di ciò che avviene intorno a noi. Vengono espresse opinioni, talvolta anche forti e discutibili, oppure forti e condivisibili. Che possono essere ritenute offensive per alcuni. Ora i professori devono auto-censurarsi e censurare i loro studenti nel timore che qualcosa di detto, visto o prodotto in classe venga segnalato a qualche politico e quindi via social alle autorità, incorrendo così nel migliore dei casi in un linciaggio pubblico e nel peggiore in provvedimenti disciplinari perché si è osato criticare, anche pesantemente, i detentori del potere? Ora si deve accettare di perdere la serenità di discussioni accese, scivolose, anche difficili da gestire, ma che sono sempre palestra per chi si sta formando, per non rischiare provvedimenti disciplinari? Cosa dovremmo insegnare agli studenti? Di «fare la fila per tre, risponder sempre di sì e comportarsi da persona civile...», come cantava Edoardo Bennato (prima di diventare sovranista…)?

Il provveditore afferma di avere agito secondo giustizia e coscienza. Noi osserviamo che quando la democrazia entra in crisi ancor prima che le limitazioni delle libertà provenienti dall’alto, è lo zelo di solerti funzionari, il realismo dei realisti più realisti del re sensibili allo «spirito dei tempi», a mettere in pericolo le libertà. Specialmente se lo zelo, anche se non pubblicamente premiato, in alto non viene poi contrastato, ma nell’intimo apprezzato. Ricordiamo ancora una volta, infatti, che la storia comincia, dopo il tweet, con la solerte segnalazione del sottosegretario Borgonzoni («Già avvisato chi dovere!», rassicurava su Facebook i suoi follower sovranisti il 29 gennaio rispondendo alla indignata segnalazione dell’estremista di destra). Il sottosegretario che ammette di non dedicare molto tempo alla lettura, ma evidentemente, per scienza infusa o zelo rivoluzionario, sa cosa è lecito o non è lecito discutere nelle aule. Mentre il ministro dell’Istruzione tace. E quello dell’Interno mette in scena il suo lato buontempone dicendosi disponibile a parlare con studenti e professoressa, mentre la Digos indaga… Tanta ipocrisia, tante parti in commedia, la libertà di insegnamento tra un tweet e l’altro allegramente messa in discussione.