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Pare che la Spagna abbia deciso di far approdare la nave Aquarius in un suo porto. Una lezione da adulti al governo Salvini-Di Maio. Magari tra i 120 minori presenti a bordo, o tra i bimbi ancora nel grembo di una delle donne incinte, c’è un futuro grande medico, o un ingegnere o un talento del calcio o dell’atletica. E magari darà lustro alla Spagna, non all’Italia.

Perché, cari leghisti, nel mondo libero i figli dei “morti di fame” possono diventare grandissimi, come dimostrano secoli di storia italiana, europea ed occidentale. Esageriamo ma nemmeno tanto, se guardiamo la storia degli albanesi arrivati in Italia su quei barconi (tra loro, anche il padre del campione del Napoli Hiysaj).

Quel che dovremmo accettare è che ognuna di quelle barche alla deriva nel Mediterraneo contiene il più prezioso dei beni, il vero petrolio del mondo, e cioè la creatività umana, la sete di benessere, di affermazione sociale e personale. Per quante barche pensiamo di respingere, tante altre ne arriveranno. Non siamo in emergenza, siamo in “immanenza”: viviamo e vivremo un’epoca di migrazioni di massa, soprattutto dalla giovane e potente Africa.

Più il Continente Nero cresce e si sviluppa, più africani avranno le risorse per emigrare, ma ciò avverrà in contemporanea all’emersione di grandi opportunità di commercio e di reciproca soddisfazione tra le nazioni del mondo. Non c’è soluzione definitiva (termine che qualcun altro usò...), ci deve essere gestione continua. Non solo è impossibile chiudere i porti, ma è anzi auspicabile aprirli al libero scambio delle merci con l’Africa. Quel che un Salvini - ma anche altri miopi leader di questo o quel paese europeo - non può capire è che non deciderà lui dove andranno e cosa faranno decine di milioni di africani (per tacere degli asiatici) pronti a spostarsi e a rischiare tutto.

Noi possiamo illuderci di fare la guerra alle singole barchette, di mandarne una in Spagna e la prossima in Francia, chissà, pure a Malta, ma non fermeremo la marea. Dobbiamo imparare a canalizzarla, a valorizzare chi sbarca, a farlo lavorare seriamente e anche severamente. Dobbiamo pensare a come integrare subito i bambini perché diventino e si sentano italiani ed europei. Bisogna battere le mafie che gestiscono le tratte marittime, non i disperati.

Perché forse i disperati siamo noi, la nostra società anziana e un po’ anemica, adagiata sul lavoro e sui sacrifici delle generazioni passate e incapaci di vedere la straordinaria ricchezza che viene dal mare.