Il caso Salvini secondo la legge e oltre le chiacchiere di giornali e TV
Diritto e libertà
Il modo politico di parlare di cose di giustizia e il modo giudiziario di parlare di cose politiche creano da decenni in Italia un garbuglio inestricabile di paradossi e di errori uguali e contrari, sia sul fronte cosiddetto “garantista”, sia su quello cosiddetto “giustizialista”.
Da anni i primi - i “garantisti”, intendo, a geometria variabile e padronali del fu centro-destra perduto - ignorano che anche nella Costituzione originaria (quella dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari travolta dalla retorica “manipulitista”) la separazione dei poteri non istituiva un sistema di assoluta immunità, cioè di garantita impunità, per i politici eletti.
I secondi fingono di dimenticare che la ragione che portò i costituenti a prevedere un filtro sostanzialmente politico all’azione dei magistrati contro i parlamentari nasceva non dal riconoscimento di un privilegio castale, ma da una preoccupazione strettamente democratica, di tutela delle istituzioni rappresentative.
Questo parlare dei rapporti giustizia-politica a prescindere dalla Costituzione e dalle leggi, questo confronto permanente tra la chiacchiera politicista e quella moralista ha dirottato la discussione pubblica in una terra di niente e di nessuno, in un vuoto di diritto e di senso. Anche il modo in cui si parla del caso Diciotti e della decisione che dovrà essere assunta dal Senato riflette questa desolante alienazione collettiva dal merito della questione, che non è, come vorrebbero gli “innocentisti”, se la natura politica dell’atto di Salvini renda di per sé immune il Ministro, ma non è neppure di valutare, come vorrebbero i “colpevolisti”, se la condotta del capo del Viminale abbia ecceduto i limiti del suo potere ministeriale.
A complicare e a sgangherare ulteriormente le coordinate del discorso concorre inoltre il fatto che il fronte salva-Salvini, cioè la maggioranza giallo-verde, è composta da due partiti che più di tutti gli altri nella storia della Seconda Repubblica - dal cappio leghista dei primordi, “all’uscite con le mani alzate” del trionfo grillino - hanno prosperato sulla retorica del processo sommario al Palazzo e ai suoi abitanti e adesso devono reinvertarsi Azzecarbugli del primato della politica.
In tutto questo continua a sfuggire al pubblico e in buona parte anche alla critica di questo spettacolo che il Senato non dovrà giudicare la fondatezza dell'accusa del Tribunale dei Ministri a Salvini per il “caso Diciotti”, ma valutare se la sua condotta, quand'anche fosse reato, debba considerarsi giustificata dal superiore interesse dello Stato o da principi costituzionalmente prevalenti. Al centro della valutazione non c'è quindi l'eventuale fumus persecutionis, o l'insindacabilità giudiziaria degli atti politici, ma proprio la "ragione di Stato".
Invece, i colpevolisti spiegano che il Senato non potrà che prendere atto del reato compiuto (come se al Senato spettasse una sorta di giudizio preliminare) e gli innocentisti che non si possono sindacare gli atti politici di un ministro (quando in questo caso l'insindacabilità, che spetta ai parlamentari per i voti e le opinioni espresse nell’esercizio del mandato, non c'entra nulla e proprio la Costituzione prevede che possano essere perseguiti anche i reati ministeriali). Hanno torto entrambi.
Il Senato dovrà valutare se «negare l'autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo.» (art. 9, comma 3, L.cost. 16 gennaio 1989, n. 1). E lo deciderà insindacabilmente, con una motivazione più o meno difendibile, ma ovviamente politica e politica sarebbe anche la grave responsabilità di negare l’autorizzazione sulla base non dell’interesse dello Stato, ma su quello della maggioranza, identificando ragione di Stato e ragione di partito.
Insomma, dal punto di vista istituzionale il “caso Salvini” non è quello che raccontano i giornali e la TV, ma non solo per colpa loro.