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Dopo i tragici fatti di Barcellona della scorsa settimana si è rafforzata in me l’impressione che il terrorismo islamico sia molto più insidioso e allo stesso tempo meno esiziale delle varie forme di terrorismo con cui si sono confrontati in passato gli Stati europei. Ad osservare i connotati qualitativi del tipo di azione vista in Spagna e, prima, in altri paesi europei, si nota come queste riescano ad avere un impatto enorme sulla percezione di rischio degli Europei, e sulle agende politiche del continente, nonostante abbiano una capacità di danneggiamento tutto sommato limitata.

Provo a spiegarmi meglio. Sono molti gli Stati europei che, nella loro storia recente, hanno dovuto confrontarsi con forme di terrorismo politico particolarmente insidiose. Si pensi, solo per citare i casi più noti, al terrorismo basco, a quello irlandese, o a quello italiano degli anni 70. E però tutte queste forme di terrore avevano un connotato politico riconoscibile che postulava petizioni politiche chiare alle quali si potevano contrapporre posizioni altrettanto chiare. Erano forme di terrorismo di matrice culturale europea, animate da gente che aveva un obiettivo, che era pronta a rischiare di morire per raggiungerlo ma conservava la paura che ciò accadesse.

Si trattava inoltre di una specie di guerra civile forse necessaria per il nation building degli stati coinvolti, era una lotta per il potere tra gruppi rivali, in cui qualcuno era destinato a vincere e qualcun altro a perdere. Quella islamista appare invece una minaccia polverizzata, nichilista, senza altri obiettivi che il terrore in sé, e con una capacità di condizionamento politico delle nostre società molto più insidiosa, perché produce fratture culturali, sociali e politiche scomposte che determinano risposte isteriche e inutili, quando non dannose. Non ci sono gruppi riconoscibili contrapposti nella ricerca del potere; non ci sono dicotomizzazioni possibili intorno alle quali organizzare una risposta civile e politica europea, perché l'unica dicotomia capace di affermarsi nel discorso pubblico - "Occidente vs Islam" - rischia di frantumare i nostri valori, e quindi le nostre stesse società, ordinamenti giuridici, costituzioni e stili di vita, più che quelli dei terroristi.

Tutto questo a fronte di una “potenza di fuoco” e di danno tutto sommato limitata. Il presidio statuale costituito dai jihadisti, l’Islamic State, è stato quasi del tutto annientato, e se si conta il numero di vittime prodotte del terrorismo di matrice islamista dal 2001 al 2016 (fonte Global Terrorism Database), ci si accorge della portata tutto sommato limitata del fenomeno: i miliziani della jihad sono riusciti a fare poco meno di 700 morti in Europa Occidentale in 15 anni, quando nel solo 2015, per esempio, i morti ammazzati per omicidio volontario nell’UE a 28 sono stati 4528 (fonte Eurostat).

Eppure abbiamo paura, e lasciamo che una minaccia che di suo non avrebbe connotati esiziali per nessuno dei paesi-obiettivo, condizioni pesantemente il modo in cui viviamo, la nostra discussione pubblica, le nostre decisioni politiche e finanche i nostri ordinamenti giuridici, da anni sotto tensione alla ricerca di risposte costituzionalmente “orientate” all’esigenza di sicurezza percepita dall’opinione pubblica. E ciò nonostante sia chiaro che i terroristi islamici non vinceranno mai, perché non avranno mai la forza militare per imporsi su alcuno degli Stati europei e conquistarne il potere. Non c’è tallone straniero islamico capace di calpestarci, e non ci sono ideologie autoritarie alloctone capaci di conquistare le leve del potere politico in Europa.

Quel che potranno fare, e che stanno già facendo, è indurci a vivere sotto il dettato della paura e dei nostri cortocircuiti identitari interni, spingendoci a dissipare decenni di progressi civili tramite la reviviscenze della xenofobia, a distruggere ricchezza economica spingendo al potere gli agenti politici della chiusura e del protezionismo, e minare le conquiste istituzionali dell’Europa post bellica, ad esempio facendo saltare la libertà di circolazione degli Europei (leggasi Schengen) anziché le resistenze dei singoli Stati europei alla condivisioni di informazioni di intelligence.

Contro l’Islam radicale vinceremo perché non possiamo perdere; ma possiamo farci inutilmente male da soli, e tanto, nel frattempo.