orlandoshootinggrande

Chiedersi se Omar Mateen fosse un terrorista o uno squilibrato e se la più grande strage di civili mai compiuta sul suolo americano dipenda da un disegno politico o da un delirio privato è la più classica delle domande sbagliate, che comporta solo risposte sbagliate.

Il curriculum criminale dei kamikaze islamisti che hanno finora colpito negli Stati Uniti e in Europa dimostra con una certa chiarezza che il processo di auto-radicalizzazione politico-religiosa degli aspiranti martiri è spesso legato a condizioni di alienazione psicologica, se non di vero e proprio disturbo psichico. Non è del resto la prima volta che questa speciale sensibilità alla seduzione nichilista da parte di soggetti problematici o psicolabili viene usata come strategia di reclutamento e di ingaggio operativo. Poche decine o centinaia di persone opportunamente "innescate" - a distanza, e senza esigenza di direzione o coordinamento organizzativo - possono produrre un danno incalcolabile. Il massimo dell'efficienza e dell'ininfiltrabilità.

Prendere atto di questa evidenza non significa negare il segno ideologico (e non meramente psicopatologico) del disegno criminale islamista, ma aiuta forse a comprendere la natura e la misura del pericolo che il terrorismo fai-da-te comporta per le società occidentali sia in Europa, dove l'impatto politico-religioso delle minoranze islamiche è destinato a crescere per ragioni demografiche, sia negli Stati Uniti, dove la popolazione e l'immigrazione islamica è di dimensioni assolutamente contenute.

Se i cani sciolti del terrore sono in genere isolati o raccolti in piccoli gruppi familiari o di prossimità, senza legami né formali né sostanziali con le rispettive comunità o con le scuole e le istituzioni religiose, questa sfida islamista non può essere né di conquista né di sottomissione. La retorica dell'invasione, suscitata dall'emergenza migratoria, l'obiettiva e sinistra radicalizzazione religiosa dei regimi islamici amici o necessari, a partire da quello turco, e un senso crescente di insicurezza legato dalla dimostrata vulnerabilità delle società occidentali a questo tipo di attacchi, suggeriscono nell'opinione pubblica un'immagine da assedio di Vienna e dunque una rappresentazione distorta del vero "rischio esistenziale" a cui la minaccia terrorista espone l'Occidente, che è però quello dell'auto-tradimento, non della capitolazione.

Se c'è un obiettivo realistico nella testa dei pupari del califfato non è la conquista di Washington da parte di al-Baghdādī, ma quella della Casa Bianca da parte di Trump. Il vero trionfo di questa campagna militare irregolare contro la libertà a stelle e strisce coinciderebbe con l'instaurazione di un regime di contro-terrore fondato sui principi della discriminazione etnico-religiosa, sulla restrizione delle libertà civili e sulla sostanziale "putinizzazione" della società americana. Non rischiamo di diventare schiavi dello Stato islamico, ma della paura di noi stessi e della nostra stessa "natura" politica.

Il bersaglio dell'eccidio di ieri, cioè la comunità gay, è il più simbolico e eloquente proprio perché negli Stati Uniti e nel mondo libero la difesa di uguali diritti e di un'identica dignità sociale anche per le minoranze sessuali costituisce uno dei crismi più peculiarmente occidentali, sia dal punto di vista culturale, che politico. Gli omosessuali sono finiti nel mirino di Omar Mateen non perché sono una minoranza diversa, ma perché sono il paradigma di una perfetta e insopportabile normalità. E non è un caso che quanti, in Europa e negli Usa, pensano che la guerra al terrore islamista comporti delle necessarie rinunce ad alcuni valori civili considerati finora non negoziabili (a partire dalla non discriminazione religiosa), siano i più ostili alla cosiddetta "cultura gay" e, anche in questo, i più consonanti con le ricette di Putin.

@carmelopalma