La censura del fumetto Maus, che racconta la Shoah, nelle scuole americane
Terza pagina
Mettere al bando il fumetto Maus, pubblicato in origine a puntate tra il 1986 e il 1991 e considerato una delle più importanti pubblicazioni sulla Shoah, poiché includerebbe “un linguaggio approssimativo discutibile” e la rappresentazione di una donna nuda. Può sembrare il resoconto di un fatto del passato, e invece è quello che ha stabilito solo pochi giorni fa il consiglio scolastico della contea di McMinn, nello stato americano del Tennessee, votando all’unanimità la rimozione del testo dal curriculum di terza media. Una decisione definita “orwelliana” dall’autore di Maus, Art Spiegelman.
Alla riunione in cui è stata votata la decisione, il membro del consiglio scolastico Tony Allman ha dichiarato: “Non abbiamo bisogno di abilitare o promuovere in qualche modo questa roba. Mostra le persone che impiccano, mostra che uccidono bambini, perché il sistema educativo promuove questo genere di cose, non è saggio o salutare.”
Tutto questo senza tenere conto del fatto che Maus ha riscontrato un successo planetario da quando è uscito la prima volta, ed è ritenuto uno strumento indispensabile per parlare della Shoah. La graphic novel di Spiegelman è infatti basata su interviste fatte a suo padre, un ebreo polacco superstite di Auschwitz, ed esplora sia gli orrori dell’Olocausto che le sue conseguenze traumatiche sui sopravvissuti e i loro figli. Da decenni viene acclamato dal pubblico e dalla critica, al punto da aver vinto un Premio Pulitzer nel 1992.
Stando al verbale della riunione, Lee Parkison, il preside della McMinn County Schools, ha spiegato di aver ricevuto diverse lamentele da una parte del corpo docenti in merito al contenuto del volume. In particolare, per il “linguaggio grezzo e discutibile”, per la raffigurazione di una donna nuda (la madre di Spiegelman trovata morta suicida in una vasca da bagno) e per la violenza che in generale permea la storia.
Dopo essersi consultato con un avvocato, Parkison avrebbe suggerito di oscurare le parti di testo più controverse e l’immagine della donna, ma il consiglio di amministrazione si sarebbe opposto, anche per evitare di ricevere eventuali ripercussioni legali per aver alterato parti del fumetto. “Sto cercando di capacitarmi di questa storia”, ha dichiarato Spiegelman in un’intervista alla CNN. “Sono totalmente concentrati su alcune brutte parole presenti nel libro. Non posso credere che la parola ‘dannazione’ basti per farlo bandire dalla scuola.”
Sulla vicenda è intervenuto anche il Museo dell’Olocausto degli Stati Uniti, che su Twitter ha ribadito quanto sia importante che gli studenti imparino la storia narrata nel fumetto: “Maus ha svolto un ruolo fondamentale nell’educare sull’Olocausto attraverso la condivisione di esperienze dettagliate e personali di vittime e sopravvissuti. Insegnare l’Olocausto usando libri come Maus può ispirare gli studenti a pensare in modo critico al passato e ai propri ruoli e responsabilità oggi.”
Non sono mancate iniziative per protestare contro questa decisione: nelle settimane successive sono stati riportati casi di almeno due librerie, una a Knoxville in Tennessee e l’altra a Sunnyvale in California, che hanno donato ai loro clienti di fiducia diverse copie gratuite dell’opera. Più di recente, Spiegelman ha organizzato un giro di incontri su Zoom per parlare al pubblico del suo fumetto, di cui l’ultimo, organizzato dalla Federazione Ebraica di Chattanooga in Tennessee, ha raggiunto oltre 3.000 iscritti. Nella Contea di McMinn, dove è avvenuto il bando, una chiesa episcopale ha organizzato il 3 febbraio un incontro sull’opera per parlare anche del ruolo delle chiese durante la Shoah.
Questo non rappresenta un caso isolato, ma si inserisce in uno schema più ampio: da anni in molte scuole americane ci sono romanzi a fumetti di cui non viene consentita la diffusione tra gli studenti in particolare per contenuti di natura sessuale. Alle volte la cosa arriva anche a sfiorare il ridicolo: nel 2009, una scuola elementare e media del Maryland bandì il celebre manga Dragon Ball dalle proprie aule accusandolo di avere contenuti “sessualmente espliciti”. Per ironia della sorte, nel 2021 la serie animata anime tratta dal manga è stata messa al bando prima in Spagna e poi in Argentina, poiché le femministe di quei paesi accusavano Dragon Ball di essere sessista.
Ma la censura negli anni ha colpito anche storie ben più innocue sul piano della sessualità e della violenza: In scena!, graphic novel del 2012 dell’autrice americana Raina Telgemeier che parla di cotte adolescenziali e omosessualità, è stata per quattro anni di fila nella classifica stilata dalla American Library Association dei 10 libri più censurati negli USA, tra il 2016 e il 2019. In quegli anni anche altre graphic novel sono entrate nella top ten: sempre nel 2016 erano stati in totale tre i fumetti in classifica, di cui uno, E la chiamano estate di Mariko e Jillian Tamaki, occupava il primo posto in assoluto.
Nel 2015, il secondo posto tra i libri più censurati nelle biblioteche americane è stato occupato da Persepolis, graphic novel in cui l’autrice francese di origine iraniana Marjane Satrapi raccontava la repressione dei diritti delle donne in Iran a seguito della Rivoluzione. Dall’opera, uscita a puntate tra il 2000 e il 2003, nel 2007 era stato tratto un film d’animazione che ottenne una candidatura agli Oscar.
I docenti lo fanno perché pensano di proteggere gli studenti, ma spesso rischiano di ottenere l’effetto opposto; lo sa bene Laurie Halse Anderson, autrice del romanzo Speak! che nel 2020 è stato adattato in un fumetto, e nel quale la scrittrice raccontava in modo semiautobiografico di quando a 13 anni venne violentata da un compagno di scuola e di come dovette rielaborare il trauma. Il romanzo originale, pubblicato nel 1999, è stato spesso ostracizzato dalle scuole per il suo contenuto molto crudo, al punto che ancora nel 2020 risultava al quarto posto nella classifica dei libri più censurati negli Stati Uniti.