Pannella e Capitini. La vita del verme, del nido, del sospiro e del silenzio
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Aldo Capitini è filosofo ricco di suggestioni teoretiche, e di questo fu senz’altro consapevole Marco Pannella che proprio dal lessico capitiniano trasse la prassi nonviolenta del metodo “radicale”. La religione aperta di Capitini, l’operatività, qui ed ora, di una società proiettata sulla realtà liberata, sulla realtà di tutti (nessuno escluso), sconfessa il mondo come è, i tanti limiti dello status quo spirituale e politico, non arrendendosi al decorso automatico e naturale, alla caducità delle costruzioni politiche umane, proponendone la Riforma.
In un connubio indissolubile tra azione nonviolenta, impegno civile, e riflessione mai paga delle acquisizioni ideologiche, il male, la morte e l’ingiustizia diventano, progressivamente, l'obiettivo polemico e irriducibile di questa Prassi Mistica, la ragione di vita di questo pensatore tanto “cattolico”, cioè universale, quanto eterodosso. E ciò è evidente nel continuo travaso di responsabilità, di dibattito e di confronto che porterà Aldo Capitini, nel corso degli anni, ad approfondire il suo liberalsocialismo (quello teorizzato insieme a Guido Calogero nel Manifesto del 1940) fino a giungere all’Omnicrazia, al Potere di Tutti, alla suggestione di una democrazia davvero sociale, di un confronto comune serrato sui temi e sui problemi, di una vera e propria sussidiarietà orizzontale che superi tanto lo strapotere dello Stato, quanto quello dei Partiti divenuti Istituzioni sclerotizzate.
Quelli che seguono sono i testi “religiosi” della peculiare filosofia politica di Aldo Capitini: Elementi di un’esperienza religiosa del 1937, Religione Aperta del 1955, La Compresenza dei morti e dei viventi del1966. E da tutti emerge il culto della laicità intesa come fede in altro rispetto al clericalismo di potere, come religione della libertà che, però, non si accontenta della presunta razionalità del reale, che non si arrende al destino automatico di morte.
Si realizza così, nella battaglia per il mutamento sociale nel senso della partecipazione popolare, quella dualizzazione dell'immanenza che fa emergere come costitutiva dell’autentico umano la frattura feconda tra essere e dover essere, quella coazione al salto, al meglio, ad una decisione per il bene comune tanto necessaria quanto non garantita da una trascendenza tradotta da una sola Chiesa. Uno sprone che è servito a Marco Pannella per arricchire lo storicismo crociano, per liberarlo dall’istinto conservativo, generando così l'intuizione di Spes contra Spem. Utilizzando, quindi, il testo paolino (Lettera ai Romani, 4,18) per farsi carnalmente - attraverso il corpo resistente opposto al potere - Speranza viva – Soggetto - contro ogni “cosa” meramente “sperata” e oggettivizzata nel sogno e nella rassegnazione.
In tale contesto, anche l’idea capitiniana dei centri di orientamento sociale come alternativi alla partitocrazia, come occasione comunitaria e spontanea di un laboratorio civico aperto all'apporto continuo dei cittadini, la stessa mancata adesione di Capitini al Partito d'Azione, inteso come declinazione moderata – frenata - del lavoro politico necessario per giungere al “massimo di socialismo e, insieme, al massimo di libertà”, ha senz'altro influito sulla pratica transpartitica di Marco Pannella e dei radicali.
Transpartito che, appunto, rigetta come impropria e illiberale la riserva identitaria nella “casa sicura” dei congiurati, spingendo oltre - fino a “rompere” la forma dell’Istituzione tipica del Palazzo - per giungere alla contaminazione feconda tra diversi, ad una complessità d’approcci che “salva” la politica dalle categorie novecentesche del politico (la contrapposizione violenta Amico/Nemico), proiettando il metodo della Nonviolenza e della Nonmenzogna contro ogni ideologia e fissismo etico.
Non si tratta, quindi, di ipostatizzare la terza via in un Partito preciso ma di fecondare la contrapposizione epocale destra/sinistra, arricchendola di senso e sollecitando la scelta di campo responsabile, una dialettica “radicale” che - proprio perché fondata sulle radici comuni e costituzionali dello stare insieme - non può giungere mai al conflitto radicalista, escludente. In questo, la prassi Capitiniana del riconoscimento nel Tu-Tutti - anche come declinazione nuova e feconda del teismo e, quindi, della personalità di Dio diffusa nei volti di chiunque - diviene la pratica della compresenza, di un’unità e comunanza che trascende spazio, tempo, destino e morte.
Il prossimo, il derelitto, il carcerato, il dimezzato, l’escluso, il drogato, l’emarginato, il ghettizzato, il cattivo, financo il “mafioso” - insieme a tutti i viventi e ai morti - concorrono (per Capitini e per Pannella) alla generazione continua dei “valori”, all’aggiunta - storica ed eterna assieme - che si arricchisce di ogni nuova nascita al mondo, che determina nella vita, nella battaglia, nell’errore, nella verità e nella conversione ciò che conta, ciò che dura e che resiste.
L'uomo non può essere inchiodato per sempre al “fatto”, a ciò che è che è accaduto, perché – ben oltre la dittatura dell’accaduto - è sempre capace dell'atto nuovo, dell'atto che rimedia e che salva, della promessa e del perdono. Ecco perché, a me pare, Nessuno Tocchi Caino agisce ancora oggi sotto l'egida di questa “Compresenza” (va ricordata, a tal proposito, la splendida campagna di adesione all’associazione che, nel corso del 2021, ha utilizzato proprio il lemma Compresenza, rigenerando - nell’afflato politico della militanza - la vita e la morte di Aldo Moro, di Leonardo Sciascia, di Mariateresa Di Lascia e, appunto, di Marco Pannella), perché l'ultima violenza da sconfiggere è proprio il destino apparentemente “naturale” di morte, anche della morte instillata dal Leviatano per carcere e galera.
La violenza di un limite, di un destino che si rappresenta come insuperabile e invincibile e che, invece, ci dice Aldo Capitini, non è definitiva, non è imbattibile, non è davvero confine per l’uomo che, per prassi e decisioni libere, ha solo da incamminarsi risoluto lungo l'opzione nonviolenta, per giungere finalmente alla prova concreta che, morta la violenza, vivrà davvero persino la morte:
“ […] Quando dirai una parola, sarai infinitamente in essa, anche umile;
vivrai così la vita del verme, del nido, del sospiro,
del silenzio.
E la morte vivrai, se davanti ad essa non ci sarà nulla in te
Che si distacchi dalla sua presenza […]”
A. Capitini, Atti della presenza aperta.