ricchi e poveri grande

Da sempre noi italiani soffriamo il confronto con i ricchi cugini del Nord-ovest, sentendoci “il fanalino di coda” o “gli ultimi della classe”.
 Ma negli ultimi anni è avvenuto qualcosa di sbalorditivo. Anche i cugini poveri dell’Est e del Mediterraneo hanno iniziato a surclassarci in tutti i campi da cui dipende la sopravvivenza di un’economia sviluppata.


Investimenti in istruzione: ci battono. Investimenti in ricerca: ci battono. Alfabetizzazione scientifica: ci battono. Alfabetizzazione in generale: pure. 
Produttività (cioè capacità di generare più valore lavorando di meno): ci battono. Attrattività per le imprese: non ne parliamo. Certezza del diritto: Madonna santissima salvaci. 
Persino l’uso dei fondi europei per le regioni più arretrate è un lusso che scegliamo di concederci meno degli altri, “altri” che ormai comprendono anche i bulgari, i rumeni, gli spagnoli, i ciprioti, e talvolta addirittura i greci.


Insomma, se qualche tempo fa ci consideravamo una “media potenza” che rivaleggiava con i grandi del G7, ora sembriamo un paese paralitico, sclerotico e putrefatto anche al confronto con i parvenu.



Dobbiamo ammetterlo: l’Italia non ha un’anomalia solo rispetto al Regno Unito, alla Svezia o alla Francia. L’Italia ha un’anomalia rispetto a chiunque altro.
 Deve esserci un difetto che è esclusivo del nostro paese. Un virus che ha fatto ammalare l’Italia e solo l’Italia. Una sfiga di qualche tipo che è toccata solo a noi.
 Ma quale?

Una prima risposta ce la danno da tempo immemorabile eruditi ed umanisti: gli italiani, e solo gli italiani, non hanno mai avuto una coscienza nazionale. Un paese di individualisti fradici che ambiscono a vivere di spesa pubblica è un paese spacciato, si potrebbe pensare. 

Ma è una risposta troppo ottocentesca e moralista. Da eruditi, per l’appunto. 
La vera sfiga che abbiamo avuto, a mio parere, è un’altra.

Noi italiani, e solo noi italiani, siamo passati dalla miseria al benessere nel peggiore periodo possibile, gli anni ’50 e ’60. 

L’Europa nord-occidentale si stava già sviluppando da decenni, era stata la pioniera delle prime due rivoluzioni industriali, con tutte le fatiche e le contraddizioni che ciò aveva comportato. Il Mediterraneo avrebbe iniziato a svilupparsi negli anni ’80, l’Est addirittura negli anni ’90. 
Per noi, al contrario, il “miracolo economico” è avvenuto proprio durante quell’interregno in cui l’economia delle automobili e dei giradischi si poteva importare già fatta e finita, senza nessuno sforzo, per gentile concessione dell’America, mentre quella dei computer e dei servizi non esisteva ancora.


Grazie al miracolo economico sono nati milioni di italiani, in condizioni sanitarie così favolose che sono quasi tutti ancora qui. Inutile girarci intorno: “gli italiani” sono i boomer. E i boomer hanno imparato a catechismo che i loro genitori erano poveri, ma poi, a partire dai miracolosi anni ’50 e ’60, hanno potuto permettergli una vita benestante. 
Il racconto sacralizzante su quello che è accaduto negli anni ’50 e ’60 si è tramandato identico a se stesso più o meno fino ad oggi. Non c’è da stupirsi, visto che è stato concepito a misura di boomer e che è stato divulgato perlopiù da boomer.

In questa leggenda aurea ci sono “i nostri nonni”, rigorosamente “con la terza media”, che hanno “ricostruito il paese” (distrutto da loro, ma questo dettaglio viene saltato) con le loro imprese rigorosamente “piccole”, perché quelle grandi erano “i gioielli dello Stato”. Del resto “la naja li aveva disciplinati” e “gli aveva fatto girare l’Italia”. 
Certo, “come ci testimonia il cinema neorealista” non era una pacchia per tutti: molti “dovevano arrangiarsi con qualche imbroglio”, ma in fondo che male c’è.


A quei tempi “le case non costavano niente”, figuriamoci poi quando si è scoperto che anche “le seconde case non costavano niente”.
 Protagonisti della “rivolta studentesca”, immancabilmente “impegnati” nella politica che “a quei tempi era una cosa seria”, i nostri gloriosi progenitori hanno conquistato diritti sempre più spettacolari: l’alba degli anni ’70 ha illuminato l’art.18 e la pensione con 14 anni 6 mesi e un giorno.


Guai a mettere in dubbio questa lettera sacra: chiunque lo farà verrà gettato nello Stagno di Fuoco.

 Ecco come gli italiani hanno imparato che si passa dalla miseria al benessere. Nessun bisogno di istruzione elevata, aziende familiari e non competitive, capitalismo di stato, impieghi in nero, risparmi pietrificati in case, case e ancora case, col consumo di suolo selvaggio che ben conosciamo, fancazzismo sessantottino, politica clientelare, lavoro vissuto sempre più come un fastidioso contrattempo sulla via della pensione. 
Come una muta di cani di Pavlov, noi italiani ci siamo abituati così e tuttora ne paghiamo il prezzo. 



Nessun altro popolo ha avuto tanta sfiga. Quando gli spagnoli hanno iniziato a svilupparsi, dopo la fine della dittatura, erano già i primi anni ’80. Inezie come il turismo, l’agricoltura e i trasporti della capitale hanno avuto in Spagna una gestione più moderna, e il risultato si vede.


Non parliamo poi dei paesi dell’ex blocco sovietico, che hanno dovuto ingegnarsi per uscire dalla miseria nel pieno della globalizzazione e della digitalizzazione.
 Ora che è il 2020 i nodi vengono al pettine, e le classifiche dell’OCSE o dell’Unione Europea ne sono la conferma impietosa.
 
Quando una persona riceve un miracolo, può capitargli di cadere nel fanatismo. Si abbandona a una venerazione forsennata e irrazionale del santo che gli ha fatto il miracolo, e in tale venerazione passa il resto della sua vita. Se qualcuno insulta o sminuisce il suo celestiale benefattore, il miracolato diventa cupo, stizzito, a tratti persino feroce. 


L’Italia ha vissuto vent’anni da miracolata e poi mezzo secolo da fanatica. È questa la fonte dei suoi guai.