paleoliche

Per più di un partito italiano il tema dell’ambiente è solo una calamita da attaccare sul frigo: una volta aperto il frigo, ci trovi dentro la solita roba andata a male. 

Citare le politiche ambientali è quasi un obbligo per chi fa politica di questi tempi. Ma poiché l’opinione pubblica è ancora in buona parte inconsapevole di quanto sia alta la posta in gioco e poco sensibile al problema, è raro che alle parole seguano i fatti. 
Così, ad esempio, il Partito Democratico ha sempre aggiunto un capitoletto “ambiente” ai suoi programmi elettorali, come a dire “Ecco, ne parliamo!”, senza però che ciò intaccasse l’essenza degli altri capitoli.

Peggio ancora i Cinquestelle: hanno fatto una caricatura locale e anti-industriale della lotta per l’ambiente, funzionale solo alla loro propaganda che mira a diffondere ossessivamente il mito della purezza e l’orrore della contaminazione. Quindi no TAP, no impianti, poveri ulivi, “gli animali sono meglio delle persone”, e tutto il resto del repertorio, che non aiuta in alcun modo a emettere meno CO2 nell’atmosfera o a rendere sostenibile lo sviluppo.


Certa sinistra derubrica l’ambientalismo a “capriccio di chi già sta bene” (ignara che, ad esempio, le ondate di calore estivo uccidono per primi i senzatetto, gli anziani soli e i poveri). La destra predatrice alla Salvini oscilla fra l’ignavia e il negazionismo aperto.



Non c’è da stupirsi, perciò, se le uniche risoluzioni veramente incisive sull’ambiente sono state adottate a Bruxelles e a Strasburgo. 
Quei luoghi incantati dove il PD e i Cinquestelle, non pressati dall’esigenza di fare propaganda, hanno votato nello stesso modo il 60% delle volte. 
Quel regno della serietà che ha prodotto, fra le altre cose, la direttiva End of Waste sui rifiuti, il Quadro 2030 per il clima e l’energia, il mercato delle emissioni di carbonio (ETS), la direttiva Habitat sulle aree protette e la recente normativa sulle plastiche.


Senza le istituzioni europee, paesi come l’Italia avrebbero fatto molto meno per la salvaguardia dell’ambiente, e gli sforzi isolati di alcune regioni virtuose sarebbero stati vani.

Ma ormai non possiamo più perdere tempo con gli slogan e le calamite, confidando solo nell’Europa. Il tempo stringe. La crisi ambientale è un pericolo troppo grave, e la transizione ecologica è un’opportunità troppo preziosa, per restarcene ancora a guardare.
 Per reagire con efficacia, però, occorre seguire alcuni princìpi di buonsenso.

Primo: se ancora pensi per capitoli, sull’ambiente non sei credibile. Ogni aspetto della legislazione può ricavare nuova linfa dalla battaglia per l’ambiente. Il fisco può diventare ecologico. La politica di coesione può diventare ecologica, riscattando un Nord che oggi è l’area più tossica d’Europa e un Sud che è una delle sue aree più depresse.
La sanità può guardare all’ambiente. La politica estera può tenere conto dell’ambiente. Le politiche per l’industria e il lavoro troveranno nell’ecologia un volano formidabile. È insensato che questa battaglia monopolizzi un partito, ma è altrettanto insensato che finisca rinchiusa in un compartimento stagno.

Secondo: se sei contro l’Unione Europea, sull’ambiente non sei credibile. Non solo per quanto detto sopra, ma anche e soprattutto perché i grandi inquinatori oggi si chiamano Cina e Stati Uniti. 
Gli Stati Uniti da soli emettono più gas serra di Africa, India e resto delle Americhe messe insieme. E nessuno dei Paesi europei, isolato, ha la minima speranza di invogliare (o costringere) i grandi inquinatori a fare un passo indietro. Anche se noi italiani mettessimo in atto le migliori politiche ambientali, cosa peraltro ardua senza l’UE, subiremmo comunque gli effetti dell’inquinamento degli altri. Per dire: alla metà del secolo la Puglia e le Isole saranno in gran parte desertificate, e nel Mediterraneo ci sarà più plastica che pesce. Indipendentemente da ciò che noi italiani avremo scelto di fare.
 È un fatto: senza un’Europa unita non abbiamo alcun margine reale d’intervento sulla crisi ambientale.

Terzo: se metti in ridicolo la scienza ed incensi l’incompetenza, sull’ambiente non sei credibile. Tutti i dati e le proiezioni che abbiamo a disposizione su gas serra, polveri sottili, scioglimento dei ghiacci, avanzamento dei deserti, riserve idriche, biodiversità e mutamenti climatici sono dovuti al lavoro paziente degli scienziati. Lo stesso vale per le tecnologie che abbiamo a disposizione per far fronte al problema, dalle tegole solari alle bioplastiche alle batterie per le auto elettriche. Se insulti gli scienziati sui media, li epuri dagli enti pubblici e non investi un centesimo in ricerca, sei impotente di fronte alla crisi ambientale. Un partito che la voglia affrontare deve ascoltare, rispettare e coinvolgere gli uomini di scienza.

Quarto: se contrapponi rigidamente lo Stato e i privati, sull’ambiente non sei credibile. Devi avere un approccio pragmatico e neutrale. 
Si può avviare la transizione ecologica in Italia solo con risorse pubbliche? No: servono circa 170 miliardi, una cifra inarrivabile per lo Stato.
 La si può avviare lasciando che il mercato faccia tutto da sé? Nemmeno, visto che ad esempio i beni prodotti con materiali di riciclo impiegheranno ancora anni a diventare più convenienti dei loro equivalenti estratti da miniera, se non ci sarà un “ritocco” delle regole del gioco. 
Demonizzare le imprese è un totale controsenso, visto che già oggi, oltre ai capitali, offrono tecnologie straordinarie, dagli impianti per riciclare assorbenti e pannolini alle reti elettriche intelligenti. Ma senza un minimo di coordinamento, e senza una politica fiscale adatta, queste risorse rischiano di essere usate male o non usate affatto.



Infine, la partecipazione è importante. 
Le grandi opere sono utili, ma insufficienti. Singoli cittadini, famiglie ed enti locali devono contribuire il più possibile alla transizione. Prendiamo come esempio la conversione energetica. L’attuale fabbisogno di energia elettrica dell’Italia è di 320 Terawattora all’anno, di cui appena un centinaio è coperto dalle rinnovabili: una montagna ripidissima da scalare, a cui va aggiunta quella dei consumi di energia termica per i trasporti (quasi 40 milioni di tonnellate di petrolio equivalente ogni anno). Se non diventa un’impresa collettiva, è un’impresa condannata al fallimento. Ognuno deve mobilitarsi: i piccoli paesi a bassa densità abitativa, ad esempio, sono perfetti per l’autoproduzione, mentre le città sono i laboratori ideali per elettrificare la flotta del trasporto pubblico, che segue itinerari fissi, o per trarre energia dai rifiuti organici. Ogni comunità, piccola o grande, può fare la sua parte. 
Alla politica spetta il compito di favorire questa partecipazione, ed è anche per questo che non deve mai snobbare quell’interlocutore cruciale che è il mondo delle associazioni.

Detto ciò, elaborare un programma completo sull’ambiente non è semplice. Su ogni dossier i pareri sono contrastanti e trovare un equilibrio è faticoso. Bisogna saper ascoltare, mediare, e talvolta fare rinunce. Le proposte che ne escono sono spesso inadatte ad essere sbandierate come promesse elettorali. 
Ma il tentativo va fatto.