Quante bugie su Laura Boldrini e la lingua italiana
Terza pagina
Non è un mistero che Laura Boldrini sia personaggio politico estremamente divisivo. Non tutti, per non dire pochi, condividono le sue posizioni sull’immigrazione. Le sue affermazioni su liberismo e austerity, l’ultima delle quali recentissima, sono slogan che veicolano tesi fattualmente errate e potenzialmente deleterie. Ma è sulle questioni di genere che i detrattori dell’attuale presidente della Camera hanno concentrato di più le loro attenzioni. Un po’ perché è stata effettivamente lei a sfruttare la propria posizione d’influenza per sensibilizzare su certi temi, ma anche perché quei critici hanno trovato nelle tematiche femministe un bersaglio facilmente ridicolizzabile, che ha permesso di evitare un più serio confronto sui contenuti.
Che Laura Boldrini abbia preteso il titolo di “presidenta” rientra a pieno titolo nella casistica delle fake news. Più precisamente, non è che una banale canzonatura che a forza d’essere ripetuta ha finito per essere presa sul serio da qualcuno (ad es. “Il Giornale”).
In realtà, l’attuale presidente della Camera si è solo prodigata affinché i termini che designano ruoli istituzionali siano declinati anche al femminile. In una lettera ai deputati risalente al marzo 2015, esprimeva molto garbatamente “l’opportunità che negli interventi svolti nel corso delle sedute dell’Assemblea e degli altri organi della Camera le cariche e i ruoli istituzionali siano richiamati nelle forme corrette, ossia secondo il genere proprio della persona cui essi si riferiscono”. Nella stessa lettera segnalava “che il ricorso al genere maschile per riferirsi a una carica o a un ruolo istituzionale ricoperti da una donna è stato ritenuto non corretto sul piano linguistico da numerosi studi, come la Guida alla redazione degli atti amministrativi proposta nel febbraio 2011 dall’Istituto di teoria e tecnica dell’informazione giuridica e dall’Accademia della Crusca”.
Un problema di questo tipo nasce dal fatto che, storicamente, le donne hanno iniziato più tardi a ricoprire incarichi di responsabilità, e questo ha generato dubbi linguistici nel momento in cui la presenza femminile in quei ruoli iniziò a farsi numericamente più consistente. La battaglia di Laura Boldrini trova in effetti una sponda nell’Accademia della Crusca, nella misura in cui, secondo quest’ultima, le forme che la presidente della Camera invita ad adottare – e altre, relative a ruoli non istituzionali – sono linguisticamente corrette, per non dire preferibili. Quanto al ruolo che rivestirà per ancora qualche mese, Laura Boldrini ha semplicemente adottato, e richiesto che fosse adottato negli atti ufficiali della Presidenza della Camera, l’articolo femminile davanti al sostantivo "presidente" (com’è facilmente verificabile alla pagina della Presidenza della Camera). È peraltro in buona compagnia: anche Nicoletta Maraschio, attuale presidente dell'Accademia della Crusca, si fa chiamare – ed è chiamata – "la presidente".
Per appoggiare o respingere una battaglia del genere, almeno finché resta su un piano non coercitivo, bisogna anzitutto chiedersi se incontra le esigenze delle dirette interessate. Non c’è violazione delle regole in uso né coniazione arbitraria di termini (come sarebbe “presidenta” o la “matria” di Michela Murgia). C’è una richiesta di utilizzare forme già esistenti perché giudicate più rispettose dell’identità della persona che ricopre un certo ruolo. Ogni donna che riveste incarichi del genere ha il diritto di chiedere, anche se non di esigere, che le persone si rivolgano a lei nel modo che ritiene corretto. Così come ha il diritto di utilizzare strumenti non violenti né coercitivi per convincere gli altri e le altre a fare altrettanto. La società si cambia anche attraverso le battaglie culturali, che possono essere fatte di gesti, di ragionamenti, come anche di persuasione.
Si può legittimamente ritenere ci siano cose più urgenti a cui pensare. E non c’è dubbio che al mondo, come anche in Italia, le donne siano soggette a discriminazioni peggiori di un articolo sbagliato. Ma il fatto che ci siano problemi più gravi non rende illegittima una battaglia. Chi ritiene che quello sollevato da Laura Boldrini sia un problema superfluo, agirebbe con maggiore coerenza se evitasse di ridicolizzarla chiamandola “presidenta”.