Star Trek

L’8 settembre 1966 andava in onda negli Stati Uniti il primo episodio di Star Trek, serie televisiva destinata, insieme ai numerosi seguiti e alle versioni per il grande schermo, a esercitare un’influenza smisurata sull’immaginario di tre generazioni di spettatori.

Il media franchise di Gene Roddenberry ha presentato un futuro in cui la creatività e la conoscenza scientifica hanno eradicato povertà e malattie, e in cui i popoli hanno conseguito una pace duratura – un futuro in cui l’umanità ha potuto infine rivolgere il proprio sguardo all’esplorazione dello spazio ignoto. Un gioco a specchi in cui alla pace tra i popoli (terrestri) fa da contrappunto il rapporto complesso, talvolta conflittuale, con le razze umanoidi incontrate nell’esplorazione del cosmo.

Non è difficile scorgere in Star Trek elementi che appartengono all’utopia socialista. Quello di Star Trek è il sogno, coltivato ancora oggi dal marxismo, di un mondo che ha rimosso la scarsità e con essa il bisogno del segnale dei prezzi, dunque del denaro stesso. “Abbiamo eliminato la fame e l’avidità” – afferma il Capitano Picard nel ventiquattresimo secolo – “e non siamo più interessati all’accumulazione di cose”. L’avidità, secondo uno dei mantra dell’anti-capitalismo, è un prodotto del mercato: senza quest’ultimo (e senza la scarsità) quel vizio non è che un mero ricordo.

E così, curiosamente, una saga che ha compreso in modo visionario il modo in cui la tecnologia può essere messa al servizio di esigenze umane reali ha mancato però di vedere come il denaro stesso sia una “tecnologia” che le persone utilizzano per risolvere i problemi, permettendo di cooperare attraverso lo scambio e di segnalare la scarsità con i prezzi. Scarsità che non può semplicemente essere eliminata con l’abbondanza: perché se la tecnologia di replicazione rende accessibili per tutti beni di ogni genere, non per questo cessa la possibilità di specializzarsi in servizi da offrire al pubblico.

Un mondo post-povertà non è ancora un mondo post-scarsità. Il tempo, ad esempio, resterebbe una risorsa scarsa: con la conseguente necessità di scegliere in quale modo impiegarlo. (Gli stessi sceneggiatori, peraltro, non hanno potuto fare a meno di rappresentare scenari in cui le fonti d’energia a disposizione dell’Enterprise – i cristalli di “dilitio” – scarseggiano, compromettendo la possibilità di replicare i beni desiderati.)

Ma Star Trek non è soltanto l’utopia collettivista di un mondo senza mercato. Gli anni ’60 sono anni caldi per gli Stati Uniti: sono gli anni delle lotte per i diritti civili, delle rivendicazioni femministe, della fine della segregazione, gli anni dell’omicidio di JFK e di Martin Luther King, gli anni di Bob Dylan e delle manifestazioni di massa contro la guerra in Vietnam. E sono anche gli anni della guerra fredda, della crisi cubana, delle truppe sovietiche che invadono la Cecoslovacchia.

In un decennio di tensioni crescenti, vissuti nel ricordo ancora fresco del secondo conflitto mondiale, Star Trek ha saputo dipingere un futuro di pace in cui la cooperazione tra i popoli ha sostituito la diffidenza e il conflitto; in cui le donne possono ambire agli stessi incarichi di responsabilità degli uomini; in cui il contatto con nuove culture avviene con gli strumenti della diplomazia e del dialogo, all’occorrenza rispettandone l’esigenza di isolamento. Ha dipinto un mondo in cui bianchi americani possono coesistere e cooperare sulla stessa plancia con sovietici e afroamericani (dando luogo alla leggenda metropolitana secondo cui fu Star Trek a mandare in onda il primo bacio “interrazziale”), oltre naturalmente a vulcaniani e Klingon.

Su tutti questi temi Star Trek, sia pur con l’ingenuità che talvolta appartiene alla finzione, è stata espressione di coraggio e speranza. In una realtà, la nostra, pericolosamente percorsa da rigurgiti di xenofobia, antiscientismo e rifiuto della modernità, la cinquantennale saga di Kirk, Spock e Picard, oggi rinnovatasi grazie alla creatività di J.J. Abrams, offre ancora – al netto delle utopie post-capitalistiche – un messaggio di ottimismo, pace e cooperazione nella diversità che oggi più che mai dobbiamo ritenere valido. Per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.