scuola

Umberto Galimberti è tornato a far risuonare su D di Repubblica un noto mantra dell’intellighenzia nostrana: l’idea che l’istruzione pubblica debba formare il cittadino offrendogli gli strumenti per pensare criticamente la realtà, strumenti che soltanto (o quasi) le materie umanistiche sarebbero in grado di offrire. Le illustri vittime di tale arringa sono - nientemeno - la scienza e il mercato.

In merito alla prima, la preferenza per il liceo scientifico anziché per il classico (il rapporto emerso circa un anno fa era in effetti di 5 a 1) sarebbe il segno di una mentalità che privilegia l’arido “mondo della scienza e della tecnica […] a scapito del modo della vita”. Dall’altro lato, il mercato avrebbe fatto sì che i prodotti culturali, a cominciare dai libri, siano oggi ridotti a beni di consumo, in un sistema che ha sostituito il valore intrinseco dell’opera con il prezzo del bene. Con il risultato che oggi autori come Heidegger, Horkheimer e Foucault (editi in effetti da oscuri editori quali Rizzoli, Einaudi e Feltrinelli…) “non venderebbero neppure una copia”. E le case editrici “devono piegarsi ad accontentare i gusti un po’ elementari, quando non grossolani, della popolazione, contribuendo a loro volta al decadimento del livello culturale del paese”.

L’immagine che Galimberti ha della scienza è una reiterazione del noto adagio heideggeriano per cui “la scienza non pensa”, benché essa, che è anzitutto un metodo, rappresenti una delle più importanti imprese critiche di cui l’umanità è stata capace. Eccolo dunque agitare lo spettro di una sostituzione della filosofia con la scienza, la quale tuttavia non dà risposte ai problemi più profondi sollevati dalla prima. Ma ipostatizzare “la filosofia” e “la scienza” è il frutto di una cattiva filosofia.

Il nostro sistema scolastico impartisce l’insegnamento delle materie scientifiche come una sequenza di proposizioni assiomatiche, trasmettendo l’idea di un’attività di pensiero arida e dogmatica. Chi scrive è dell’avviso che, se quell’insegnamento fosse accompagnato da elementi di storia e filosofia della scienza, la capacità critica dello studente non potrebbe che trarne beneficio. Per fare un solo esempio, quanto sarebbe utile allo studente la capacità, che ai filosofi citati da Galimberti non avrebbe fatto male, di vagliare criticamente i nessi causali? O di leggere correttamente i dati?

Lo stesso Galimberti avrebbe potuto confrontare i propri pregiudizi con i risultati dei test OCSE Pisa 2012, i quali mostrano come gli studenti del liceo scientifico ottengano risultati migliori rispetto al classico non solo in matematica ma anche nella comprensione dei testi.

Che il mercato costituisca un ostacolo alla circolazione della cultura umanistica rappresenta poi un completo capovolgimento della realtà. Non soltanto perché è la ricchezza diffusa, resa possibile proprio dal mercato, a consentire un aumento dell’offerta culturale. Ma anche perché è fallace l’idea che il mercato si preoccupi di promuovere contenuti funzionali a supportare se stesso.

Basta un’occhiata distratta al settore “Economia” di una qualsiasi libreria per rendersi conto che l’offerta editoriale risente, semmai, di un forte pregiudizio anti-mercato: mentre autori come Bauman, Rampini e Fusaro occupano interi scaffali, è solo con gran difficoltà che il lettore in buona fede, desideroso d’informarsi di economia, incontrerà Hayek, Bastiat o Bruno Leoni – se non attraverso le licenze filologiche dei loro detrattori. Ciò avviene perché il mercato è un sistema decentrato in cui gli individui si industriano per soddisfare le preferenze del pubblico. E se il pubblico vorrà leggere critiche marxiste al mercato o romanzi pseudo-erotici, il mercato saprà il più delle volte accontentarlo.

Davanti alle scelte decentrate, l’imprenditore s’interroga sul perché i suoi prodotti non vendano. Ragionando allo stesso modo sul settore della scuola, bisognerebbe chiedersi perché il liceo classico non soddisfi più studenti e genitori preoccupati.

Un intellettuale come Galimberti, invece, assume semplicemente che il mercato sia composto da persone ignoranti che compiono scelte sbagliate. E difende un sistema basato su decisioni centralizzate, in cui è lo stato il depositario della conoscenza che permette di formare il “buon cittadino”, che grazie all’istruzione ricevuta sarà in grado nientemeno che di distinguere “tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”. Quello che dovrebbe essere un sistema egualitario postula invece che un ristretto gruppo d’individui stabilisca come istruire la moltitudine ignorante.

Camuffata da istanza di cambiamento, l’arringa di Galimberti non è che una difesa dello status quo, un atteggiamento che è tanto più amaro quanto più sono evidenti le carenze del sistema che si vuole proteggere.