L'Italia non è meritocratica per scelta educativa. Lettera aperta al ministro Giannini
Istituzioni ed economia
Questo articolo sarebbe dovuto apparire sul prossimo numero di marzo di Strade. Abbiamo deciso di pubblicarlo oggi, in forma di lettera aperta al nuovo ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Stefania Giannini, come augurio di buon lavoro.
Signor Ministro,
La parola meritocrazia piace molto eppure, sembrerà banale, per essere un paese meritocratico bisogna anche fare in modo di esserlo. E noi, a dirla tutta, ci siamo impegnati a fondo per non esserlo. Fin da piccoli.
E’ inutile ripetere i dati sulla (scarsa) qualità dei nostri studenti, già ruvidamente tracciati da Fabio Scacciavillani su Strade. Proviamo piuttosto a chiederci il perché. Supponendo che le differenze cognitive tra studenti giapponesi, inglesi, kazaki e italiani siano trascurabili, si potrebbe pensare che a portare a questi risultati sia il modello di scuola che abbiamo costruito con sudore e fatica in questi anni, con l’aggiunta forse anche di un pizzico del generale (dis)impegno che abbiamo profuso sul fronte educativo come società.
Prendiamo ad esempio le Scuole Medie. Non so quanto sia diffusa la dimestichezza con le sue sigle, in ogni caso sappiate che una delle ultime arrivate è BES, sigla in cui rientrano tre grandi sottocategorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi specifici; e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico o culturale. Quest’ultima sigla è stata coniata nel 2012, quando si è deciso di estendere a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, rifacendosi ai principi della Legge 53/2003.
Per farla semplice: tutti ricordiamo la presenza nelle nostre classi di portatori di handicap e magari anche il lavoro degli insegnanti di sostegno al loro fianco. Fin qui nulla di strano. Il fatto è che ci siamo accorti che non c’erano solo i disabili ad avere bisogno di una mano, ma esistevano anche altri disturbi specifici dell’apprendimento meritevoli di attenzione e ci siamo quindi attrezzati per gestire anche loro, i DSA. In questa categoria abbiamo inserito dislessici, disgrafici, discalculici, disortografici, e tutti quei ragazzi con capacità cognitive nella norma (attenzione, normali non si può dire, dopotutto cos’è la normalità?), ma che hanno difficoltà specifiche superabili con qualche supporto (dall’uso della calcolatrice al non obbligo di lettura ad alta voce).
Ora arrivano i BES, i ragazzi con bisogni educativi speciali. Sotto questa sigla abbiamo fatto rientrare anche tutti quei ragazzi che hanno difficoltà, seppur transitorie, che si ripercuotono sul rendimento scolastico e che quindi hanno bisogno di particolari attenzioni. Non importa che tipo di BES tu sia, i professori scriveranno un piano didattico personalizzato (o un piano educativo individualizzato) su misura per te. Almeno così recita la direttiva del 27.12.2012 emanata dall’allora ministro Profumo. Se non sei un BES, ma comunque non ce la fai (o non riesci a trovare la giusta motivazione per farcela) non temere, i tuoi insegnanti prepareranno ugualmente percorsi di recupero in classe e organizzeranno anche corsi di recupero pomeridiani per te.
Non paghi, ci siamo però inventati un altro paio di altri arzigogoli davvero sfiziosi, perché vincere facile non è mai bello. L’ex ministro Gelmini, in uno scatto di rigore educativo, aveva infatti stabilito che, per poter essere promosso, un ragazzo deve avere la media aritmetica del 6 in tutte le materie. Bell’affare. Se tu viaggi sul 2, non pare molto credibile che tu riesca a prendere un filotto di 8 per recuperare. Niente paura. Fatta la legge, trovato l’inganno.
C’è una soluzione anche per questo. Basta che il consiglio d’istituto abolisca il 2 e decida, ad esempio, che gli unici voti validi siano quelli tra il 4 e il 10. Così una media del 4,5 può essere portata al 5 dall’insegnante, e un 5 può essere portato collegialmente al 6 dal consiglio di classe. Insomma, per poter essere bocciati bisogna davvero impegnarsi e, anche qualora si riuscisse nell’impresa, nulla vieta che qualche solerte genitore cerchi un TAR capace di trovare tutti i cavilli necessari ad affermare che gli insegnanti e la scuola non hanno fatto il possibile, e l’impossibile, per “salvare” il ragazzo e che quindi non è colpa sua, ma loro (chessò, non hanno avvisato con almeno 2 mesi di anticipo che con tutti quei 4 c’era il rischio di essere bocciati, ad esempio, e non è una battuta) e così arriva anche la giustizia a sancire l’inviolabilità educativa dei nostri ragazzi.
Preso atto dei lodevolissimi sforzi che il nostro sistema educativo compie per non lasciare nessuno indietro, resta però da chiedersi cosa faccia per chi invece ce la fa, per legge e non per buona volontà (che a volte è davvero tanta), per offrire qualcosa anche agli altri studenti, “quelli bravi”. Viene infatti da chiedersi se la scuola sia capace di proporre loro un progetto educativo in grado di stimolarli e di non farli sbadigliare tutto il giorno costringendoli a sentirsi ripetere le solite quattro cose in croce. Diciamo poco? Quasi nulla?
Non voglio con questo dire che si debba necessariamente fare “qualcosa” anche per i bravi, le risorse sono limitate ed è necessario darsi delle priorità, ma non si può non rilevare che, per chi merita, la nostra scuola non ha molto da offrire, perché ha scelto di dedicarsi ad aiutare coloro che, con o senza dolo, sono rimasti indietro. Quindi no, la nostra scuola non pare proprio costruita per premiare il merito, anzi, pare piuttosto che sia costruita per fare in modo che il merito stia seduto ad annoiarsi e ad adeguarsi alla media. Se non sei in difficoltà per la scuola non esisti, sei tutt’al più un problema in meno da risolvere.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se prendesse i suoi migliori studenti e offrisse loro, non a tutti, ma solo a loro (che li vogliono e ne sentono il bisogno), opportunità di approfondimento, laboratori didattici, visite, incontri, invece di tenerli inchiodati ad un banco a sentirsi ripetere ciò che già sanno.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se desse a ciascuno il suo, senza trucchi e senza inganni, magari smettendo pure di bocciare. Uscirai con il voto che ti meriti, sia esso un 1, un 6 o un 10. Se non ti piace, allora sarai tu, insieme ai tuoi genitori, a chiedere di ripetere l’anno per dimostrare che puoi fare di meglio.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se i risultati raggiunti dagli studenti avessero un valore e un riconoscimento, garantendo non solo l’accesso ad attività complementari, ma fossero anche, perché no, la chiave per guadagnarsi l’accesso al livello di istruzione superiore.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se spiegasse ai ragazzi che quegli anni non sono suoi: sono loro. Anni che possono essere usati per crescere, imparare e sviluppare competenze, ma che quello è un compito loro, non della scuola.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se valorizzasse l’impegno dei suoi insegnanti, premiando coloro che si danno da fare. Si scopre invece che, per dare il sacrosanto scatto di anzianità, si sono tagliati proprio i fondi di Istituto che servivano a questo.
La nostra scuola sarebbe meritocratica se desse dignità e rispetto ai suoi insegnanti, che ogni giorno scelgono di accompagnare la crescita dei nostri figli pur sapendo che oggi una denuncia non si nega a nessuno e che, anche solo per aver sedato una rissa tra ragazzi, potrebbero vedersene regalare una per fine anno.
La nostra scuola sarebbe meritocratica, ma non lo è. Abbiamo scelto che non lo sia. Come può esserlo il Paese? Ci pensi, signor ministro. Buon lavoro.