scuola

“La cattiveria non è bocciare, ma promuovere senza merito”. Quando leggo frasi del genere, che di solito nei commenti sono osannate, purtroppo, da una buona parte della classe docente, mi arrabbio tantissimo, per almeno due motivi.

Intanto la non ammissione (parlare di bocciatura è scorretto) è uno degli strumenti della valutazione e, come tale, deve essere utilizzato al suo interno. Quindi deve avere uno scopo e non può limitarsi a certificare / non certificare un presunto “merito scolastico”.

Ad esempio uno dei motivi di non ammissione fatta al biennio può essere quello di segnalare alla famiglia che il percorso formativo intrapreso, a parere del consiglio di classe, non è quello corretto. In questi casi la decisione sarà già stata anticipata alla famiglia e corredata dal suggerimento di un percorso alternativo. Oppure il consiglio di classe potrà aver valutato che le competenze acquisite non sono sufficienti per affrontare con profitto l’anno successivo, perché ci sono carenze tali da necessitare la ripetizione dell’anno appena terminato.

Laddove, invece, il consiglio non ha ancora maturato una decisione, perché si pensa che con un po’ di tempo in più sarà possibile colmare le lacune principali e iniziare bene l’anno successivo, si procede con la sospensione del giudizio, che è cosa diversa rispetto alla vecchia rimandatura.

Ma parlare di “merito” è scorretto. Che demerito ha lo studente che, pur impegnandosi tantissimo, ha pessimi risultati proprio nelle discipline caratterizzanti l’indirizzo? Nessuno, ma ha sbagliato percorso. Dobbiamo fermarlo? Riorientarlo? Mandarlo avanti “perché si impegna tanto”? E quale merito ha lo studente che non fa niente per sette mesi e poi, in poche settimane, si “mette finalmente sui libri” e “recupera tutto”? Nessuno. Dovremmo punirlo e non farlo recuperare anche se sappiamo che raggiungerà le competenze necessarie per proseguire?

C’è poi il secondo motivo che mi fa arrabbiare e che è il doppio standard con cui trattiamo gli studenti e chi vuole diventare nostro collega. Ai primi si chiede “il merito”, mentre per i secondi si rivendica la sanatoria. Se c’è una professione che necessita un’accurata formazione iniziale e una buona selezione all’ingresso è proprio quella dell’insegnante. Capite bene che se un maestro/professore non conosce bene la disciplina e non ha le competenze didattiche necessarie i risultati saranno pessimi.

E la cosa peggiore è che le conseguenze negative non si avranno tanto negli alunni bravi (quelli che “meritano”) e immersi in un contesto famigliare avvantaggiato, che potranno colmare le mancanze della scuola con lezioni private e studio individuale. No, i risultati peggiori si avranno proprio nei confronti di chi ha più bisogno di un docente che lo guidi nel suo percorso di apprendimento e che, invece, si troveranno di fronte una figura inadeguata e che, spesso, fa molti danni.

E come reclutiamo e formiamo i docenti? Non li formiamo più, li reclutiamo con concorsi ordinari che, quando partiranno, saranno a crocette oppure con sanatorie mirate a far entrare in ruolo chi ha decenni di servizio ma non ha mai superato un concorso. E lo so che c’è da fare il distinguo sui casi particolari, perché ci sono le commissioni (fatte da docenti) che nei concorsi, in sede di correzione, indossano l’abito del giustiziere della notte, ma questo voleva essere un discorso di sistema.

E mi volete parlare di merito?