lavagna grande

Visto che il Covid ha dilagato tra i ragazzi a scuole chiuse, allora meglio tenerli a casa. Così non ci saranno meno contagi “per voi”, ma molti meno problemi “per noi”. Questa è la richiesta che le Regioni, l’Ordine dei medici e migliaia di dirigenti scolastici hanno avanzato al Governo e su cui il Governo, grazie a Dio, resiste.

Dall’inizio della pandemia la scuola non è mai stata il luogo in cui più ci si contagia, ma è stato per lo più ritenuto il luogo da tenere più al riparo dai contagi. Come se le scuole, pur di essere sicure, potessero anche rimanere vuote; come se la continuità delle funzioni pubbliche essenziali – quale l'istruzione – non fosse esattamente il diritto da garantire ai cittadini anche durante la pandemia e dunque, precisamente, il dovere cui amministrazioni locali, sistema scolastico e servizi sanitari sono tenuti ad adempiere, malgrado la pandemia.

L’ideologia del Covid zero e quella della Scuola zero sono andate da subito a braccetto, nella logica grottesca per cui il compito dello Stato, nel contesto pandemico, è semplicemente quello di tenere il Covid fuori dal perimetro dello Stato e delle sue responsabilità, lasciando alle persone e alle famiglie – e in primo luogo agli studenti – il compito di arrangiarsi.

Secondo la logica con cui, fin dall’inizio, si sono chiuse le scuole – come misura di prevenzione generale, non come risposta a situazioni fuori controllo, che non possono mai essere tutte, né tutte insieme – si sarebbero potuti chiudere chiudere ospedali e cronicari, privando delle cure i degenti, in nome del loro stesso diritto alla salute.

Né stupisce che a farsi alfieri delle chiusure preventive siamo i cacicchi del “prima la salute”, governatori e sindaci di assortita provenienza ideologica, divenuti ormai delle vere maschere della commedia dell’arte pandemica. I De Luca, Vincenzo e Cateno, i Musumeci, gli Emiliano e la lunga galleria dei mostri del federalismo all’italiana.

Ovviamente, le scuole, per costoro, sono la prima cosa da chiudere e l’ultima da riaprire, perché il danno provocato da una Dad d’emergenza non si sconta nelle urne e non si paga nel consuntivo di esercizio. Tenere aperte le scuole costa, in termini di quattrini e di reputazione, chiuderle invece è gratis, anche se le generazioni Covid, che da due anni vanno a scuola più no che sì, stanno accumulando debiti formativi che peseranno gravemente nella loro vita e in quella collettiva. Visto però che questi costi rimarranno occulti fino ad allora – pochissimi anni, ma comunque al di là del ciclo di vita delle sindacature e presidenze dei cacicchi del “prima la salute” – allora chiudere le scuole è la cosa politicamente più facile, pur essendo una delle più rovinose.

Razionalmente, al Governo si sarebbe dovuto chiedere di più, non di meno. Nell’immediato, in primo luogo di modificare in senso permissivo le norme che di fatto, con centinaia di migliaia di nuovi contagi ogni giorno, obbligheranno la gran parte delle classi alla Dad, anche senza una chiusura formale delle scuole. Cioè di immaginare e organizzare davvero una convivenza ordinata con il Covid per tutti gli studenti italiani, che tutto lascia pensare sarà inevitabile per molti anni a venire, sperando in un’evoluzione benigna delle varianti del virus.

Invece chiedere di chiudere in attesa che si raffreddino i contagi significa lanciare il messaggio esattamente opposto, cioè con il Covid tutto ormai può rimanere aperto e solo la scuola deve rimanere chiusa, come se fosse – e non lo è – un superdiffusore del contagio. D’altra parte, a pensarci, non c’è nulla di più coerente con lo shortermismo gerontocratico della politica italiana dell’immagine dei “bambini untori”, le ultime ruote del carro sociale e i primi sospettati del rischio sanitario.