Xylella: il contagio si espande, tra polemiche e false speranze
Scienza e razionalità
Non c’è pace per gli ulivi pugliesi, se non quella eterna. In soli due mesi ammonterebbero infatti a 2251 le nuove piante risultate positive al batterio Xylella nella fascia cosiddetta di contenimento, quella che taglia in due la Puglia e nella quale è previsto l'abbattimento dei soli ulivi infetti. Dai primi di gennaio si è passati dagli 893 positivi della stagione 2016-2017 agli attuali 2986.
Analizzando la cartografia della zona risulta evidente come i nuovi positivi derivino dal focolaio nel comune di Oria, ove si osserva la densità di casi maggiore, decrescendo avvicinandosi al margine settentrionale. Margine i cui confini si sono spostati nella provincia di Bari dopo aver sfondato le linee di difesa a Locorotondo. Un’avanzata che pare quindi inarrestabile, nonostante gli sforzi compiuti dalle squadre impegnate nei tagli e nella distruzione degli alberi malati. Nel frattempo, a metà marzo sono stati già rilevati i primi esemplari della cicalina Phylaenus spumarius, la cosiddetta "sputacchina" vettore del patogeno. Per ora solo su essenze erbacee, ma appena queste diverranno meno fresche e appetibili l’insetto si trasferirà sugli ulivi moltiplicando il numero delle infezioni.
In tali scenari scoraggianti è per giunta esplosa un’accesa polemica di carattere scientifico. Una querelle scatenata dalla pubblicazione di Marco Scortichini, del Crea, di alcuni studi sugli effetti che un fertilizzante avrebbe su Xylella. Avrebbe, il condizionale è d’obbligo, perché l’articolo pubblicato su Phytopatologia Mediterranea si presta a molteplici critiche di tipo metodologico. "A zinc, copper and citric acid biocomplex shows promise for control of Xylella fastidiosa subsp. pauca in olive trees in Apulia region (southern Italy)". Questo il titolo della pubblicazione. Tradotto in italiano: un biocomplesso a base di zinco, rame e acido citrico si mostra promettente nel controllo di Xylella fastidiosa subsp. pauca negli ulivi della regione Puglia.
Dentamet, questo il nome del prodotto, è stato accolto dagli oppositori degli abbattimenti quasi come i Dieci Comandamenti ricevuti da Mosè. Ma all'analisi critica la pubblicazione non pare reggere quanto a solidità scientifica. Sarebbero infatti emerse diverse stranezze procedurali accompagnate pure da consistenti perplessità sui risultati e sulla loro analisi. A gettare il guanto di sfida a Marco Scortichini, intervenendo a un convegno organizzato a Bari il 21 marzo dall'Accademia Pugliese delle Scienze, è stato Enrico Bucci, adjunct professor in systems biology presso la Sbarro health research organization della Temple University di Philadelphia, negli Stati Uniti.
In primis, a finire sotto un pesante punto interrogativo sono gli studi preliminari in vitro atti a dimostrare che il fertilizzante avrebbe un’attività biologica su Xylella. Tali studi sono stati effettuati su una subspecie di batterio differente dalla pauca, ovvero la subspecie fastidiosa, la quale non infetta gli ulivi pugliesi bensì i mandorli americani. Decisamente fuori luogo utilizzarli quindi come base di laboratorio atta a corroborare i successivi dati di campo aperto, vista la disomogeneità fra le due subspecie. Né basta la giustificazione di Scortichini secondo la quale in America non vi sarebbero centri autorizzati a operare su subspecie pauca. Al di là che ciò parrebbe pure non corrispondere a verità, secondo lo stesso Enrico Bucci, resta il fatto che quelle prove su fastidiosa non avrebbero dovuto proprio essere adoperate come apripista su pauca.
Del resto, nemmeno i campi sperimentali erano quanto di meglio servisse a pianificare una prova solida dal punto di vista dell’impianto progettuale. A prescindere dal fatto che su tre campi solo uno è stato poi utilizzato per la pubblicazione finale, anche le piante presenti in quest’ultimo erano disomogenee per varietà. Erano due infatti, pure inframmezzate fra loro: Ogliarola e Cellina, sensibili entrambi al patogeno ma comunque differenti fra loro. Regola aurea di un ricercatore degno di questo nome vorrebbe invece che l’appezzamento sperimentale sia omogeneo quanto a varietà presente. Inoltre, all’interno del perimetro sperimentale andrebbe operata una randomizzazione delle parcelle. Per ogni tesi a confronto, cioè, dovrebbero essere posizionate in modo casuale almeno quattro repliche, o parcelle, al fine di minimizzare le influenze di variabili locali e ottenere una media di valori statisticamente affidabile. E no: la presenza mista di alberi di diverse varietà non può essere definita “randomizzazione”, come avrebbe replicato a Bucci lo stesso Scortichini. Quindi, nemmeno in questo caso il team del ricercatore campano avrebbe operato correttamente, posizionando tutta la tesi trattata con Dentamet su due file adiacenti a un filare di cipressi, possibili perturbatori delle scelte botaniche delle sputacchine vettori del patogeno. Tutte le altre piante, lasciate non trattate, sarebbero state invece più lontane. Una differenza poco consona alle buone pratiche sperimentali.
Ancora, non pare chiaro nemmeno il motivo per cui le piante non trattate con Dentamet abbiano ricevuto trattamenti fitosanitari contro malattie fungine e insetti, mentre le piante trattate con il fertilizzante no. Ulteriore fattore di disparità, le potature: la tesi trattata con il concime sarebbe stata avviata a potatura, mentre la non trattata no. E qui sta forse il difetto più grave, dato che la misurazione dell’efficacia di Dentamet sarebbe stata effettuata contando i rametti infetti da Xylella: asportare materiali vegetali da una tesi, ma non dall’altra, appare quindi un fattore di disomogeneità per il quale si dovrebbe rivedere la ricerca e, se del caso, ritirarla.
Per giunta, già in partenza le condizioni delle due tesi parevano diverse, con una minor presenza di rametti infetti proprio sulle piante selezionate per essere poi trattate con il fertilizzante. Al tempo zero, infatti, le piante da trattare della varietà Ogliarola presentavano a inizio aprile 2015 solo 10 rametti infetti contro i 15 delle piante scelte per non essere trattate. Il rapporto è invece di 8 contro 10 per le piante della varietà Cellina. Una partenza tutt’altro che omogenea, quindi. L'anno successivo, ovvero il 2016, i rilevamenti mostrarono inizialmente 40 - 45 rametti infetti nelle due varietà lasciate non trattate, contro i 18-22 circa delle piante trattate con il fertilizzante. Nel 2017 i valori sono poi saliti intorno ai 110 e 140 nei non trattati e intorno ai 30-50 nei trattati. Nei tre anni lungo i quali si è sviluppata la prova, quindi, si apprezzerebbe un consistente incremento nel numero dei rametti infetti anche nelle piante trattate. Queste avrebbero infatti chiuso il 2015 con 5 e 7 rametti, rispettivamente per la varietà Cellina ed Ogliarola, terminando il 2016 con valori intorno a 32 e 50. A fine 2017, per di più, si è rilevato un ulteriore incremento fino a valori di circa 50 - 60. In soli due anni la presenza di rametti infetti nelle due varietà trattate è perciò quasi decuplicata nonostante le applicazioni. Inutile il confronto con i non trattati, viste le potature effettuate in una tesi e non nell’altra.
Analizzando quindi la pubblicazione di Scortichini e le critiche mosse da Enrico Bucci, la conclusione parrebbe essere che Dentamet sia un ottimo fertilizzante a base di zinco, rame e acido citrico, efficacissimo in campi sperimentali come quelli di Scortichini, gravemente carenti di zinco, appunto, ma che non sia affatto in grado di fermare la Xylella e di salvare gli ulivi dagli abbattimenti, anche in considerazione dell’aspetto meramente economico: sei applicazioni l’anno rappresentano un costo per ettaro difficilmente sostenibile da aziende già in forte difficoltà economica causa disseccamenti. Curioso quindi che nelle risposte al vetriolo ricevute da Enrico Bucci vi sia pure l’insinuazione che egli abbia interessi di parte da difendere, quando a lavorare su un prodotto di un’azienda privata, cercando di dimostrarne un’efficacia che pare invece non esservi, sia stato Scortichini.
Peraltro, nessun fertilizzante può essere proposto come cura contro un patogeno delle colture agrarie. Gli usi consigliati devono cioè essere solo quelli riportati in etichetta se si vuole restare negli ambiti di piena legalità. In più, consigliare un concime quasi fosse un agrofarmaco collide pure con le regole deontologiche sia di Agrofarma, sia di Assofertilizzanti, associazioni facenti entrambe capo a Federchimica. Due aspetti di cui sarebbe bene tenesse conto il distributore commerciale di Dentamet, ovvero Diagro. Perché mentre Scortichini di tali problemi non ne ha di certo, un produttore membro di Federchimica potrebbe invece averne.
Ma sul tema Xylella, specialmente in Puglia, pare ormai di vivere in un mondo rovesciato. Chissà infatti cosa pensa oggi dello stato cui si è ridotta l’olivicoltura pugliese il Governatore Emiliano, che disse di aver tirato un “sospiro di sollievo” quando la Procura di Lecce bloccò gli abbattimenti previsti dal cosiddetto Piano Silletti, mettendo per giunta sotto inchiesta molti membri della task force chiamata a combattere l’epidemia. E chissà cosa ne pensa oggi la stessa Procura, attivata da una molteplicità di esposti di comitati che per i disseccamenti accusavano un giorno glifosate e la Monsanto, l’altro il gasdotto Tap e altri complotti tra il fantasioso e il paranoico. Tutto, pur di non ammettere che a uccidere le piante fosse un batterio da quarantena la cui unica cura era ed è, piaccia o meno, l’abbattimento degli ulivi e il trattamento del vettore con insetticidi.
Da non dimenticare nemmeno politici come il Senatore a cinque stelle, pure riconfermato, Maurizio Buccarella, colui che per impedire gli abbattimenti capeggiava manipoli di cittadini fra gli uliveti al grido “il popolo si è svegliato!”. Non male sarebbe ascoltare anche le attuali opinioni di Marilù Mastrogiovanni, la giornalista pugliese che scrisse il libro “Xylella Report” quando ancora l’inchiesta della Procura leccese era appena agli inizi, mentre di solito per scrivere un libro si dovrebbe attendere per lo meno che le inchieste siano finite. Una domanda sullo stato attuale della zona cuscinetto andrebbe infine posta al professor Cristo Xyloiannis dell’università della Basilicata, colui che ha imperversato per mezza Puglia con innumerevoli convegni al fine di dimostrare che il succo del problema era la mancanza di sostanza organica nel terreno e che la chiave di volta poteva quindi essere il compost. Ed è ancora il caso di infierire su Pietro Perrino, ex ricercatore del Cnr, grande accusatore di glifosate e pesticidi? Oppure su "Nando Popu", cantante del gruppo musicale Sud Sound System, e sull’attrice Sabrina Guzzanti, con le loro bizzarre ipotesi di una cospirazione di Monsanto, ordita per sostituire gli ulivi pugliesi con varietà ogm, tanto misteriose quanto inesistenti.
Perché prima o poi tutti dovrebbero rispondere delle proprie parole e azioni: negazionisti psicotici, governatori opportunisti, magistrati un po’ troppo impulsivi, ma anche ricercatori discutibili, ex o attuali, nonché artisti e giornalisti. O sedicenti tali. E che magari tali risposte, se ne hanno, le vadano a dare a Oria, o nella neo-colonizzata Locorotondo. Chissà se gli agricoltori di quelle zone sarebbero disposti ancora ad ascoltarli.